Discriminazione dei disabili, saper vedere dove comincia

Stupisce, e un po’ addolora, che il mondo della disabilità abbia deciso di ribadire il suo sostegno al cosiddetto ddl Zan così com’è. Da oltre trent’anni mi occupo di questioni sanitarie...
July 7, 2021
Discriminazione dei disabili, saper vedere dove comincia
Stupisce, e un po’ addolora, che il mondo della disabilità abbia deciso di ribadire il suo sostegno al cosiddetto ddl Zan così com’è. Da oltre trent’anni mi occupo di questioni sanitarie e bioetiche, e per motivi familiari sono attento alle attività di CoorDown e di Associazione italiana persone Down (Aipd), due grandi realtà impegnate nella difesa dei diritti e nella promozione dello sviluppo delle persone con sindrome di Down. Ho appreso dai social che la Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish) – di cui Aipd fa parte, ma anche CoorDown ha preso posizione – ha firmato un appello congiunto con Asgi e con Avvocatura per i diritti Lgbti- Rete Lenford per una rapida approvazione nell’attuale formulazione della proposta di legge contro 'omotransfobia, misoginia e abilismo' «perché l’uguaglianza o è di tutti e tutte o non è». Tuttavia il principio – vero in astratto – in questo caso diventa solo uno slogan per diversi motivi. Innanzi tutto, è evidente che si parla di questioni piuttosto diverse: non è sempre lo stesso 'tipo' di valutazione o (cattivo) ragionamento a ispirare comportamenti discriminatori nei confronti di una persona omosessuale o di una persona disabile.
In secondo luogo, il richiamo alla disabilità è stato inserita nel ddl Zan piuttosto tardi, quando l’articolato di legge era già stato impostato: lo conferma il fatto che nulla che riguardi la disabilità è presente nel testo, che vuole introdurre nuovi reati e si preoccupa di istituire una Giornata per 'sensibilizzare' gli studenti sull’omofobia (eccetera). E non a caso la disabilità non è presente nemmeno nelle definizioni dell’articolo 1. Non paia una pretesa superflua: la definizione di disabilità è tutt’altro che pacifica, e la classificazione internazionale del funzionamento (Icf, nella sigla inglese) adottata vent’anni fa dalla Organizzazione mondiale della sanità non è condivisa da tutti gli Stati perché – nel chiedere che si tolgano le barriere e si favoriscano i facilitatori per le persone colpite da qualche problema di salute – chiama in causa la responsabilità politica di intervenire attivamente per rimediare a situazioni che trasformano una persona con un bisogno di assistenza in un disabile.
In terzo luogo, la disabilità ha già una sua legge contro le discriminazioni: la legge 67 del 2006, che permette anche alle associazioni di agire in giudizio contro i comportamenti discriminatori. Come è accaduto nel 2010 quando CoorDown intervenne contro un grande parco di divertimenti italiani che non permetteva l’accesso ad alcune attrazioni alle persone con sindrome di Down.
Infine – in cauda venenum – una legge che volesse combattere le discriminazioni subite dalle persone disabili avvierebbe almeno una riflessione e affermerebbe come principio che il primo diritto che hanno le persone disabili è quello di vivere. Quindi si batterebbe non perché possano accedere al suicidio con l’aiuto di un medico, ma perché abbiano accesso a tutti gli ausili e le terapie che servono loro. E 'contesterebbe' la possibilità di abortire un feto perché la sua disabilità provoca pericoli per la salute psichica della donna (come prevede la legge 194). L’aborto è un tema che le associazioni di solito affrontano malvolentieri, preferiscono concentrarsi sulle attività di sostegno e assistenza alle persone con disabilità e alle loro famiglie. È evidente però che se non viene difeso il diritto alla vita di una persona con sindrome di Down, il messaggio che si lancia è che 'vale meno' degli altri. Ed è inutile, poi, lamentarsi dell’utilizzo di un linguaggio spregiativo o discriminatorio, quando viene considerato del tutto legittimo non far venire al mondo una persona disabile.
È bene dirlo chiaro: il sostegno al ddl Zan così com’è finisce per essere un puro adeguarsi al 'politicamente corretto', ma non giova alle persone con disabilità.

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