Diplomazia popolare
martedì 8 agosto 2023

Le Giornate Mondiali della Gioventù di Lisbona hanno mostrato un popolo di tanti Paesi del mondo: i giovani, figli di nazioni diverse, alcune addirittura in guerra o in gravi difficoltà. È il popolo della Chiesa, unito attorno al Papa e che, con lui, ha guardato al futuro con uno sguardo comune, nonostante le differenti provenienza, talvolta persino gli antagonismi. Una festa dell’unità, che la Chiesa vive sempre, anche nei giorni feriali o difficili. Dove c’è unità, ci dev’essere pace o almeno convinta aspirazione a essa. Anche per questo, l’unità è tanto importante, più che il protagonismo di una parte. La Chiesa non rinuncia alla pace nemmeno in mezzo alla guerra. Anzi prega per la pace, la cerca, aiuta quanti soffrono. Questa è la storia della Chiesa cattolica nel Novecento e nel nostro secolo.

Dopo l’aggressione russa dell’Ucraina, papa Francesco ha parlato costantemente sul conflitto. Un recente gesto, che ha espresso bene la sua convinta ricerca della pace, è stata la missione affidata al cardinale Zuppi. Il Papa, in un’intervista a “Vida Nueva”, l’ha chiamata «offensiva di pace». Non ha temuto di tracciare un bilancio: Zuppi «sta lavorando molto come responsabile dei colloqui. È già andato a Kiev – ha detto –, dove si mantiene l’idea della vittoria senza optare per la mediazione. È stato anche a Mosca, dove ha trovato un atteggiamento che potremmo definire diplomatico da parte della Russia. Il progresso più significativo che è stato realizzato riguarda il ritorno dei bambini ucraini nel loro Paese». Dopo Washington e l’importante incontro con il presidente Biden, l’offensiva di pace non si ferma, forse si sposterà a Pechino o altrove.

Il cardinale «sta lavorando molto come responsabile dei colloqui» – ha detto il Papa che parla in modo franco della sua diplomazia. Recentemente il commissario ucraino per i diritti umani, Lubinets, ha dichiarato sul ritorno a casa dei bambini ucraini: «Vedo le azioni del Papa e del cardinale Zuppi che stanno compiendo direttamente. Credo che porteranno a risultato…».

Qualcosa si muove nella situazione internazionale. L’incontro tra alti funzionari del G7, dei Paesi europei, di alcuni del Brics, della Cina e altri (nonostante le differenti posizioni), promosso dall’Arabia Saudita, cerca un punto d’incontro, facendo un’esplorazione delle possibilità di pace a partire dalle proposte ucraine. È decisivo investire su diplomazia e dialogo. Lo si è fatto troppo poco finora. È l’indicazione del Papa con la missione del cardinale Zuppi: ascoltare, parlare, trattare i problemi risolvibili, iniziare a dialogare, sono tutti passi utili a sminare il terreno. Bisogna inserire nel dialogo non solo Russia e Ucraina, anche se niente si può fare senza di loro, ma pure gli attori coinvolti - in qualche modo - nel conflitto e gli altri che hanno una responsabilità o sono toccati dalle ripercussioni globali della guerra.

La missione “diplomatica” non è una delle iniziative (rare, purtroppo) che abbiamo visto accendersi e spegnersi durante la guerra. È un’”offensiva” che intende tener vivo un dialogo che non rinuncia alla pace. Il grande incontro di Lisbona ha dato forza ulteriore a questa iniziativa, mostrandola circondata dal sostegno di un vasto popolo, centinaia di migliaia di giovani che vogliono un futuro di pace. E non è senza significato che Francesco abbia incontrato alcuni giovani ucraini, entrando ancora una volta a contatto con i dolori di quel popolo e baciando la bandiera ucraina.

Significativa è stata la preghiera del Papa a Fatima, luogo delle apparizioni mariane nel 1917, durante la Grande Guerra, così legato al tema della pace. Due mesi dopo l‘inizio del conflitto, Francesco ha consacrato la Russia e l’Ucraina a Maria, pregando così: “Liberaci dalla guerra, preserva il mondo dalla minaccia nucleare”. La preghiera del popolo cristiano di tanti Paesi è un’”arma” di pace: libera, dall’indifferenza, chi vive lontano e, dagli odi, chi è coinvolto. La diplomazia della Chiesa ha una grande tradizione. Talvolta però i papi sono stati isolati nella loro ricerca di pace da opinioni pubbliche nazionalizzate (anche cattoliche). Con Francesco, c’è una diplomazia “popo-lare”, in cui il Papa comunica alla gente, incontra, insiste per la pace, invia suoi rappresentanti. Una diplomazia che, soprattutto, non si rassegna al fatto che la pace sia impossibile.

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