Democrazia della clonazione
sabato 14 dicembre 2019

Il recente tumultuoso sviluppo dei mezzi di comunicazione e la rivoluzione digitale, il successo dei social nel determinare partecipazione e il loro potere di aggregazione insieme al rafforzarsi di un consumismo svenduto come fattore di benessere che un grande economista, Amartya Sen, ha chiamato «razionalmente folle» e che io, altrove, ho chiamato «bulimia dei consumi e anoressia dei valori», hanno profondamente influito sul comportamento sociale e morale dell’individuo e naturalmente, lasciatemi dire come neurofisiologo, sulla funzione e probabilmente sulla struttura del cervello, organo responsabile del comportamento.I potenti, affascinanti mezzi di comunicazione, nelle mani dei politici e dei grandi mercanti hanno distribuito cinicamente interessi particolari, talvolta addirittura personali, facendoli passare, camuffandoli, come interessi comuni del tutto ragionevoli e fonte di progresso e benessere. La strategia di manipolazione del cervello della gente è biologica e avviene trasferendo nei cervelli un’accelerazione dei desideri più primitivi e istintuali come la gioia dello shopping, del compra usa e getta, in sostanza scaricando nel cervello una nuova razionalità suffragata dal trionfo tecnologico che tinge di razionale anche l’irrazionale, che rende il superfluo necessario e il falso vero.

La globalizzazione tra supposti vantaggi ha omologato pensieri e comportamenti con successo economico dei mercati dove anche le merci sono diventate omologate con minori costi di produzione. E l’individuo creato unico, per il credente da Dio e per altri dall’evoluzione, unico per corredo genico ed esperienza di vita, ha perso, forse con sofferenza, ma senza bisogno e senza la forza necessaria per una ribellione – ad esempio nel caso dei ragazzi neet (che non studiano e non lavorano) –, la sua unicità. Si ha l’inquietante impressione di un gregge di pecore abilmente guidato da un potente pastore.La maggioranza delle persone appare costituita da individui clonati, non con mezzi della biologia molecolare, ma con quelli della comunicazione, del mercato. La clonazione del pensiero pone, a mio avviso, un’altra riflessione inquietante, quella di una possibile fine biologica della democrazia, la cui sostanza è il diritto di ogni cittadino ad esprimere la propria scelta consapevole al momento del voto; ma se gli individui clonati votano a comando come se qualcuno pigiasse un bottone e ordinasse, more militari, ciò che si deve o non si deve votare, allora la somiglianza con una dittatura diviene evidente.

Nei regimi dittatoriali la polizia impedisce di esprimere il proprio pensiero, ma non impedisce di pensare liberamente, nella democrazia digitale degli individui robotici c’è tutta la libertà di esprimere quello che vuoi, ma con i pensieri di altri inseriti nel tuo cervello, oggi, con una sorta di ipnosi verbale, ma domani, con tutta probabilità, trasferendo nei cervelli un’accelerazione dei desideri con microchip microscopici a formare il simbionte, incestuoso connubio di uomo e robot. È difficile invertire rotte tracciate con grande maestria dal potente pastore; io non vedo altra possibilità che ripartire dall’educazione, cioè dalla Scuola dei giovanissimi ancora privi della clonazione di massa, una scuola dove l’utente, come scriveva Nelson Mandela, è il ragazzo e non il sistema. Una Scuola capace di costruire alleanze con le altri grandi agenzie educative espresse dalla nostra società.

Purtroppo, la «Scuola di tutti», luogo condiviso dell’unica possibile resistenza e ribellione etica contro la situazione attuale, è negletta, e sorge il dubbio che la trascuratezza faccia parte della strategia della clonazione. Mi piace rubare a questo punto una frase di Piero Calamandrei che nel 1956 scriveva: «Se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la Scuola a lungo andare è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte costituzionale».

Neuroscienziato, presidente emerito dell’Accademia dei Lincei

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