martedì 14 gennaio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
È un mondo fatto di persone, uomini e donne che vivono la realtà di tutti. È un discorso che abbraccia ogni angolo del pianeta, specie le periferie povere e dimenticate, quelle che danno casa agli ultimi e ai più soli. Nel tradizionale incontro di inizio anno al Corpo diplomatico, il primo dalla sua elezione al soglio di Pietro, il Papa ha guardato innanzitutto ai cuori, ha indicato la fraternità come fondamento e via per la pace, ha chiesto di investire sui giovani, ha richiamato «la saggezza dell’esperienza» propria degli anziani. Il modello cui guardare è il presepe, con la Santa Famiglia attorniata dai pastori e dai magi, cioè una comunità aperta, in cui si dà spazio a tutti, poveri e ricchi, vicini e lontani. Non un sogno, e neanche un’utopia. Semmai un esempio che può diventare realtà, a patto che si alimenti la cultura dell’incontro, perché solo chi va verso gli altri porta frutto, crea vincoli di comunione, edifica la pace. Ecco allora che i nemici da vincere hanno il volto dell’invidia e dell’indifferenza, si chiamano rivalità ed egoismo. Sono la sete di potere e di denaro, che avanza inesorabile, senza preoccuparsi di chi lascia indietro o addirittura cancella. E spesso a cadere sotto i suoi colpi subdoli, molte volte mascherati da modestia e solidarietà, sono proprio i bambini.C’è, nel discorso al Corpo diplomatico, un costante, accorato richiamo ai "più piccoli", tante, troppe volte trattati come pesi ingombranti, «cose non necessarie» che possono essere scartate.Desta orrore, denuncia con forza il Papa, il solo pensiero che vi siano bambini che non potranno mai vedere la luce perché vittime dell’aborto, o utilizzati come soldati, violentati e uccisi nei conflitti armati. Oppure, ancora, messi sul mercato, in quella tremenda forma di schiavitù che è la tratta delle persone. Una piaga, un crimine mondiale, che trae linfa dalle guerre, che, come un mostro mai soddisfatto, si nutre della voglia di fuga di popoli disperati. Le scene, veicolate dalla Rete o in tv, le abbiamo viste tutti. Sono brandelli di vita silenziosa dilaniata dalle bombe in Iraq, sono popolazioni civili inermi vittime di crisi come quella siriana, per la cui soluzione, Francesco, dopo la giornata di digiuno e preghiera del settembre scorso, torna a chiedere una rinnovata volontà politica, guardando con favore e speranza alla Conferenza Ginevra 2 della prossima settimana. Ma nell’accorato appello del Papa trovano spazio molti altri scenari che continuano a insanguinare lo scacchiere mondiale. A cominciare dall’Africa dove più che altrove, Medio Oriente e non solo, i cristiani sono chiamati a testimoniare la misericordia e l’amore di Dio. Perché, osserva il Papa, nella Repubblica Centrafricana come in Nigeria, non bisogna mai desistere dal compiere il bene anche quando è «arduo», anche quando «si subiscono atti di intolleranza», se non di vera e propria persecuzione. Una scelta a favore della pace che in Corea significa lavorare per la riconciliazione tra le due anime della penisola e in Occidente va tradotta in attenzione accogliente verso chi bussa ai confini. L’Italia non fa eccezione. Anzi la recente tragedia di Lampedusa richiama il dovere della solidarietà verso i più deboli e indifesi, nel segno di quella «costruttiva creatività sociale» che ci ha storicamente caratterizzati. Non si tratta di essere "buoni", ma di riconoscerci per quel che siamo, figli di uno stesso Padre, che ha solo figli unici, tutti ugualmente amati. L’obiettivo è la pace che, come diceva Paolo VI, si costruisce giorno per giorno. Nei grandi palazzi del potere certo, ma anche, anzi soprattutto, nel silenzio dei cuori semplici, umili. È quello il luogo di ogni vera rivoluzione, la sola capace di trasformare l’indifferenza in solidarietà, l’intolleranza in accoglienza, la violenza in attenzione d’amore.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: