martedì 20 giugno 2023
Cosa succederebbe se si estendesse l’imposta sulle transazioni finanziarie
Da una piccola tassa un tesoro per ridurre le diseguaglianze
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Sogniamo ad occhi aperti e immaginiamo esista una Finanziaria mondiale che ogni anno possa spendere tra 156 e 250 miliardi di euro per contribuire a risolvere problemi globali come quelli connessi alla povertà, gli choc di pandemie ed eventi climatici estremi, all’istruzione di base in tutto il mondo e a sostenere le nuove nascite per una demografia responsabile (non come oggi dove in tre quarti dei Paesi del mondo si spopolano e poche nazioni hanno ancora una demografia esplosiva). Possono esserci idee diverse su come spendere questi soldi ma sono sicuro che, se li avessimo a disposizione, un comun denominatore accettabile per tutti si troverebbe. Un recente lavoro di ricerca (Capelle- Blanchard 2023) calcola che questo sogno potrebbe divenire realtà se estendessimo la Tassa sulle transazioni finanziarie (detta anche Tobin tax) modello inglese (la Stamp Duty) o modello francese a tutti i Paesi del G20.

Il varo di una simile iniziativa sarebbe un grande segno di speranza di questi tempi perché, osservando come funziona la nostra civiltà globale, si nutrono seri dubbi nel pensare che sia la razionalità e non il masochismo o gli istinti suicidari a prevalere. Si spendono miliardi in guerre inutili e sanguinose nelle quali non può esserci vincitore, si ignora da molte parti o si cerca di rimuovere la minaccia sempre più grave del clima, mentre si potrebbero concentrare attenzione e risorse sui beni pubblici del pianeta. I l dibattito sulla tassa sulle transazioni finanziarie tra economisti ed esperti di finanza va avanti da decenni. Nessuno pensa più che “gettare sabbia negli ingranaggi delle transazioni finanziare” serva a fermare la “speculazione cattiva”. La stabilità dei mercati è una questione molto seria in un sistema dove le transazioni avvengono a velocità supersonica e l’intelligenza artificiale ha un ruolo importante. I guasti della malattia dello shortermismo (le speculazioni a brevissimo e in generale la visione a breve termine), che può significare attacchi e fallimento di banche al primo minimo segno di debolezza, vanno curati con medicine molto robuste, ovvero con le minacce d’intervento e gli interventi delle banche centrali che per fortuna fissano gran parte delle regole del gioco e hanno dunque un potere importante sugli speculatori. Alla fine quello che conta (così è stato anche nelle recenti crisi bancarie a seguito delle manovre di aumento dei tassi in Europa e negli Stati Uniti) è un whatever it takes alla Draghi che diventa credibile attraverso minacce (quella di sospendere le posizioni al ribasso) o azioni che riportano dal mondo delle quotazioni istantanee ( mark to market) a quello dei valori di libro.

Le visioni opposte nelle quali la tassa sulle transazioni finanziarie è panacea contro l’eccessiva volatilità dei mercati, o spauracchio che può aumentarla mandando in crisi una determinata piazza finanziaria che la adotta a vantaggio delle altre, sono state tutte sconfessate dai fatti. Una delle borse più note e sviluppate come la City inglese ha una Tobin tax dello 0,5% sulle transazioni finanziarie dal 1694 che genera circa 4 miliardi di sterline l’anno e non ha certo bloccato lo sviluppo del mercato. Oggi esistono tasse sulle transazioni finanziarie, anche di recente introduzione, in 17 paesi del mondo, tra i quali Francia dal 2012 dove l’imposta sulle transazioni dello 0.3% non ha prodotto nessun temuto effetto sulla liquidità e dunque sullo spread tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita dei titoli. Numerosi studi in materia confermano che gli effetti attesi della tassa su liquidità e volatilità dei mercati sono nulli e si limitano, oltre al gettito atteso, alla riduzione del 20% delle transazioni.

Le questioni relative alla costruzione di una tassa efficace che eviti una fuga delle transazioni verso altri mercati sono ormai state risolte. Il modello inglese dove operatori, indipendentemente dal loro paese d’origine, devono pagare la tassa se acquistano azioni inglesi è quello che funziona, evitando i limiti di approcci dove la tassa è applicata solo sugli operatori finanziari della nazionalità del paese che la impone. Sulla base imponibile della tassa ci sono varie ipotesi ma quella dei titoli azionari è la più accreditata per la difficoltà di intervenire sui mercati dei derivati. Nell’Unione Europea il negoziato sulla Tobin tax non è più di moda. È passato dall’idea dell’unanimità dei paesi a quello della cooperazione rafforzata (solo per un nucleo ristretto di 10 stati membri) ma è di fatto arenato da 3 anni. Se il tema, dunque, non è quello di fermare la speculazione e se, vista nella prospettiva opposta, la tassa sulle transazioni finanziarie non produce nessun danno al buon funzionamento dei mercati finanziari, il tema torna ad essere quello del valore della nostra civiltà. E dello scandalo di un sistema economico potentissimo e capace di aumentare ogni anno il valore della ricchezza globale creata, ma che ha meccanismi distributivi insufficienti ed inaccettabili, tenendo in vita sacche di povertà estrema e squilibri enormi come quelli che segnalano che l’un percento degli individui più ricchi del mondo si è appropriato di 2/3 della ricchezza creata dal Covid ad oggi. Squilibri che non sono solo di carattere economico ma diventano anche differenze di anni di vita che arrivano a 25 anni tra i cittadini di San Paolo che vivono nel centro e quelli che vivono in periferia.

Come è noto, una delle pseudo-teorie formulate per giustificare l’ingiustificabile è quella dello “sgocciolamento”, o trickle down che papa Francesco nella sua critica espressa nella Evangelii Gaudium chiama «ricaduta benevolente» ammonendo che i poveri aspettano da sempre questi benefici promessi e sono stanchi di aspettare. Ironicamente il premio Nobel Joseph Stiglitz ammonisce che il denaro che dovrebbe sgocciolare a valle dalle tasche dei ricchi beneficiando anche i poveri finisce per evaporare al caldo clima dei paradisi fiscali. Il problema delle diseguaglianze oggi invece di ridursi si aggrava per le caratteristiche stesse del sistema economico dove nella transizione ecologica e digitale dominano processi Schumpeteriani di distruzione creatrice con il susseguirsi di ondate di innovazioni che aumentano il valore globale creato ma concentrano ricchezza nelle mani di chi ha il controllo di tali tecnologie. Le diseguaglianze tra chi possiede e chi non possiede le competenze abilitanti per le nuove tecnologie crescono all’interno di ciascun Paese alimentando una rabbia sociale che si sfoga nell’arena dei social media nutrendo la critica antisistema.

Per tutti questi motivi le politiche redistributive sono la questione chiave per la sostenibilità sociale del nostro prossimo futuro. Ed è per questo motivo che 70 economisti tra i più noti del mondo – tra cui Stiglitz, professore di economia alla Columbia University, Jayati Ghosh, docente di economia all’Università del Massachusetts e Laurence Tubiana, economista e Ceo della Fondazione Europea per il Clima – sono tornati alla carica con la proposta di una Tobin tax nei Paesi del G20, che verrà rilanciata a Parigi il 22 e 23 giugno nel corso di un Vertice internazionale organizzato da Francia e India per un nuovo patto finanziario globale. I l vantaggio sarebbe quello di avere a disposizione ogni anno un’enorme quantità di risorse immediatamente mobilizzabili e raccolte in brevissimo tempo in modo poco costoso e molto efficiente. La Tobin tax torna dunque oggi di moda come strumento più veloce ed efficace di imposta progressiva a livello globale per mettere in campo risorse e finanziamenti che possano contrastare non solo ex post ma anche ex ante la diseguaglianza favorendo l’accesso universale all’istruzione e al sistema sanitario. Pensate se esistesse una Finanziaria mondiale che ogni anno potesse spendere tra 156 e 250 miliardi per contribuire a risolvere problemi globali… Epa

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