mercoledì 29 novembre 2023
Non possiamo più prescindere dal “ciclo del carbonio” né sottovalutare i rischi di “bombe” e “inabitabilità” che si prospettano. E il “greenwashing” non deve mai essere una facile via di fuga
Alluvioni in Asia

Alluvioni in Asia - Ansa

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Come una “placca continentale” emersa in mezzo al paesaggio delle relazioni internazionali. Proprio a questo assomiglia il modo repentino in cui le questioni climatiche e ambientali si sono incuneate, negli ultimi decenni, fra le logiche che regolano tradizionalmente i rapporti tra gli attori geopolitici, a cominciare dagli Stati. Non a caso, sul fronte della riflessione, tanti atenei in tutto il mondo si sono già dotati di programmi e talora persino d’istituti dedicati proprio al connubio ormai imprescindibile fra questioni ambientali e sicurezza internazionale. Su questo sfondo, la diplomazia climatica non può più dirsi nascente, data la pregnanza che sembra già possedere per un buon numero di cancellerie. Di fatto, la Cop28 di Dubai che apre giovedì si svolge in un mutato contesto segnato e traversato pure da concetti tecnici e parole chiave non più riservati ai soli specialisti, ma divenuti invece nuovi temi del dibattito intergovernativo.

Antropocene

Parola alla moda, benché ancora non convalidata in pieno scientificamente. È stata proposta per qualificare la presunta nuova era geologica nella quale saremmo entrati, segnata da profondi cambiamenti indotti dalle attività umane, fin nel cuore del funzionamento del “Sistema Terra”, a cominciare dal clima. Prima di pronunciarsi definitivamente, la principale organizzazione mondiale di scienze geologiche prosegue le necessarie verifiche stratigrafiche.

Bombe climatiche

Concetto divulgato in primis dalle Ong ambientali. Si riferisce ai maxiprogetti, prevalentemente nel campo dell’estrazione e del trasporto d’idrocarburi, che dovrebbero essere messi al bando in priorità, per il loro elevatissimo costo ecologico. Si può citare l’esempio del progetto d’oleodotto Eacop (East african crude oil pipeline), fra Uganda e Tanzania. Un vasto fronte invoca l’arresto definitivo di tutte le “bombe climatiche”.

Ciclo del carbonio

Fra i processi terrestri, è quello maggiormente ‘popolarizzato’ dalla sfida climatica. L’anidride carbonica emessa dalle attività umane può restare in sospensione nell’atmosfera, aggravando l’effetto serra e il riscaldamento planetario, oppure può essere catturata dai ”pozzi naturali di assorbimento”, come gli oceani o le praterie. Secondo stime recenti, circa il 46% delle emissioni umane di CO2 contribuiscono ad aumentare la concentrazione atmosferica.

Geo-ingegneria

La tecnologia ci salverà? L’ipotesi estremamente controversa d’affidarsi alla geo-ingegneria per “invertire” gli effetti del cambiamento climatico ha lasciato i romanzi di fantascienza per entrare nel dibattito in molti Paesi, promossa talora da gruppi d’orientamento “climatoscettico”. Due le piste più citate: a) eliminare l’anidride carbonica dall’atmosfera, espandendo la capacità totale dei “pozzi di carbonio”; b) agire sull’irradiazione solare, per limitarla a livello terrestre. Fra ostacoli tecnici estremi e profonda incertezza sui rischi eventuali, si tratta di una strada che non gode ancora di ampio seguito.

Greenwashing

Non smettono di stupire i modi nuovi (e creativi) attraverso cui non poche multinazionali esibiscono in superficie la volontà di ‘cambiare’ in nome della sfida climatica, senza modificare in realtà la sostanza dei propri metodi produttivi e senza ridurre dunque il proprio impatto ambientale reale. Ma si allarga il coro dei critici verso i più sofisticati falsi “lavaggi” d’immagine.

Inabitabilità

La desertificazione che avanza in molte aree del pianeta, comprese certe contrade mediterranee, evidenzia tristemente il rischio di una superficie terrestre più ostile che in passato ad insediamenti umani duraturi. Certi progetti di proporzioni talora colossali, come le “muraglie verdi” nel Nord della Cina e nel Sahel, tentano di scongiurare questo fosco scenario.

Modelli climatici

Fino a che punto sono affidabili le previsioni dell’Onu sul clima del futuro? Le simulazioni al computer subiscono controlli e verifiche a diversi livelli. Da una parte, i risultati teorici sono confrontati senza sosta con osservazioni ben reali (dati satellitari, campagne di misurazioni meteorologiche e oceanografiche). Dall’altra, squadre di ricercatori del mondo intero possono verificare in modo indipendente ogni singolo modello. Quest’apertura a una molteplicità di ‘sguardi’ accresce l’affidabilità dei modelli standard in uso.

Riduzione / Adattamento

Nella scia dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015, i concetti di “riduzione” e “adattamento” formano una coppia chiamata in teoria a divenire una bussola per i governi. L’obiettivo (ancora lontano, in tanti Paesi) di ridurre le emissioni di anidride carbonica viene considerato solo come un aspetto dei doveri degli Stati. Accanto a ciò, occorre minimizzare l’esposizione e la vulnerabilità delle popolazioni, rafforzandone la resilienza di fronte ai rischi. Una prospettiva, quest’ultima, riassunta proprio dal concetto d’adattamento, che resta in realtà un dolorosissimo rompicapo in tante aree del Sud che cumulano i fattori di fragilità, a cominciare dagli Stati insulari oceanici. Da qui, il braccio di ferro diplomatico sul trasferimento dal Nord al Sud di tecnologie e fondi per rendere credibile già la stessa bussola.

Rischio climatico

Gli eventi meteorologici estremi patiti negli ultimi anni pure in Europa e Italia (ondate di calore, siccità prolungate, alluvioni) hanno contribuito ad enfatizzare la questione, altamente complessa, del rischio climatico. In proposito, i governi sono chiamati a compiere valutazioni, il più possibile dettagliate, di due ordini: a) valutazioni sul grado d’esposizione a fattori climatici dal forte impatto; b) valutazioni sul grado di vulnerabilità, ovvero sulla prospettiva che ogni eventuale impatto climatico possa provocare danni e altri effetti negativi.

Sistema Terra

Lungo i secoli, la Terra è stata interpretata nell’insieme ricorrendo a concetti scientifici diversi. Nel dibattito politico-diplomatico delle Cop, solo sporadicamente ha fatto capolino l’idea (o tentazione) di presentare la Terra come un insieme organico. A dominare, nella scia di una tradizione collaudata di stampo meccanicistico, è ancora una visione sistemica, o ecosistemica: il sempre più citato “Sistema Terra”. Insomma, la Terra come un raffinatissimo orologio che rischia oggi di andare in tilt.

Sobrietà

Tutti gli indicatori lo mostrano: fin qui, sono sempre falliti i tentativi di promuovere una cultura diffusa della sobrietà nei Paesi del mondo sviluppato. Eppure, dati i livelli eccezionali di spreco (energetico, alimentare ecc.) che si osservano ancora negli Stati più ricchi, i margini per convergere in questa direzione ci sarebbero. In ogni caso, nonostante qualche teorizzazione universitaria, la cosiddetta “geopolitica della sobrietà” è rimasta fin qui fuori anche dal vivo delle discussioni internazionali.

Tipping points

Teorizzate da tempo, le “soglie di non ritorno” del Sistema Terra (in inglese tipping points) rappresentano un concetto ormai impiegato pure nei dibattiti correnti, soprattutto per evidenziare il rischio d’irreversibilità degli effetti del cambiamento climatico. Fra gli esempi più citati in questo senso, una delle conseguenze degli sconvolgimenti in corso: la crescente acidificazione degli oceani, legata pure all’assorbimento di un surplus d’anidride carbonica a livello oceanico. Tale acidificazione, così pericolosa ad esempio per la biodiversità marina, rischierebbe di divenire irreversibile, una volta superata una certa soglia. Ma in generale, si tratta di un approccio che suscita ancora critiche metodologiche e non può definirsi pienamente consensuale.

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