giovedì 1 luglio 2010
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Un ebreo in tribunale per difendere il crocifisso. La storia, che Dio guida con fantasia per noi inimmaginabile, doveva riservarci anche questo. Aveva la kippah in testa, il tradizionale copricapo ebraico, Joseph Weiler, l’autorevole giurista della New York University, il difensore del crocifisso. O meglio il difensore della storia e della autentica laicità. Perché l’avvocato che ha rappresentato il ricorso di otto Stati su dieci alla Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, volto a difendere il diritto di esporre il crocifisso in luoghi pubblici nel nostro Paese non ha usato argomenti religiosi. Non ha poggiato le sue argomentazioni sulla sua o sull’altrui fede. No, ha parlato di storia, di diritto dei popoli opposto alle sentenze di una Corte Centrale. Una requisitoria "laica" per difendere il nostro più caro simbolo religioso. Perché il cristianesimo è una cosa del genere. Non chiede nessun diritto speciale per esistere. Gesù Cristo non ha chiesto nessun diritto speciale. E, analogamente, anche il segno della sua presenza non chiede diritti speciali. Ma d’esser trattato con argomenti laici, validi per tutti. Per tutti i simboli (come ha sostenuto Weiler) e per tutti i popoli. L’ebreo che ha difeso il crocifisso, infatti, non ha invocato argomenti particolari. Ha difeso il diritto di un popolo a esprimere la propria storia con i propri simboli, senza cedere al ricatto di qualcuno che in nome di logiche assolutiste e irrispettose della storia vuole far sparire quei simboli.Anche solo il fatto che l’esponente autorevole, e culturalmente ferrato, di una religione diversa dal cristianesimo abbia difeso il crocifisso basterebbe a smascherare tutte le fumose, faziose e in fondo banali motivazioni di chi non vuole più il crocifisso tra i piedi perché se ne sente "offeso". Weiler, che come ogni ebreo raffinato non ha rinunciato a ricorrere a paradossi e a ironie, ha fondato la sua difesa su una idea più storica, leale e aperta di laicità. Contro ogni riduzione "fobica" della laicità ad avversione contro ciò che è religioso (e più precisamente cristiano). Non sappiamo se l’arringa del professor avvocato Weiler, uno tra i giuristi più stimati al mondo e uomo di vasta attenzione all’arte e anche alla poesia, avrà successo. Non sappiamo se i giudici della Corte Europea sapranno cogliere il valore delle sue argomentazioni. Non sappiamo se ci "obbligheranno" a togliere i crocifissi dai luoghi pubblici, dando vita a un fenomeno di "smontaggio" dei simboli storici e costitutivi di un popolo da cui poi sarà difficile salvarne anche uno solo (perché via il crocifisso se urta, e non la bandiera, o le parole dell’inno, o le facciate dipinte, i monumenti ?). Ci aveva avvisati il poeta Eliot: se minate il fondamento di una cultura e di una storia, pensate che poi possano resistere a lungo i suoi frutti? Dall’avversità al cristianesimo potrebbero essere travolti i frutti di civiltà di cui tutti godono senza magari neanche saperne l’origine. Non sappiamo cosa succederà. Forse dovremo tornare a rigare un crocifisso sui muri di nascosto, vicino ai luoghi di preghiera o di sofferenza. La fede non teme la scomparsa dei crocifissi dai luoghi pubblici, perché tale scomparsa non è una sconfitta della fede, ma della storia e della laicità. Però sappiamo una cosa: come dicono i nostri fratelli in umanità di fede musulmana, Dio è davvero grande se oggi un ebreo ha autorevolmente e appassionatamente difeso il Crocifisso. E questo per noi che abbiamo una fede semplice, laica, per noi che abbiamo un cuore lieto e in allerta è già una vittoria. Ne ringraziamo Dio, e il professor Weiler. Se non dà troppo fastidio a certi opinion leader ci permettiamo di chiamarlo "miracolo".
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