martedì 20 agosto 2019
Organismi bioluminescenti per la luce, anguille e razze per l’energia marina e mitili per una supercolla acquatica Un’oceano di idee ancora tutto da scoprire
È sempre più lunga la lista d’invenzioni, tecnologie e progettazioni frutto d’intuizioni 'biomimetiche' maturate con i piedi in acqua Una parte del nostro futuro potrebbe provenire dal mare Uno dei punti di forza della nuova ricerca sta in un’intrinseca umiltà dell’uomo nei confronti delle  invenzioni della natura. Una colonia di Pirosomi, organismi marini luminescenti per la presenza di batteri simbionti luminosi

È sempre più lunga la lista d’invenzioni, tecnologie e progettazioni frutto d’intuizioni 'biomimetiche' maturate con i piedi in acqua Una parte del nostro futuro potrebbe provenire dal mare Uno dei punti di forza della nuova ricerca sta in un’intrinseca umiltà dell’uomo nei confronti delle invenzioni della natura. Una colonia di Pirosomi, organismi marini luminescenti per la presenza di batteri simbionti luminosi

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Per i suoi celebri prototipi di sottomarino e d’equipaggiamento da palombaro, il grande Leonardo s’ispirò certamente anche all’anatomia delle creature acquatiche. Intuizioni geniali, se si pensa che furono partorite più di mezzo millennio fa. Ma oggi, all’epoca dell’intelligenza artificiale, quel modo antico d’inventare osservando pure creature di profondità ed ecosistemi blu ha ancora qualche seguace? La risposta è semplice, quanto sorprendente: più che mai. A provarlo è la crescente lista d’invenzioni, tecnologie e progettazioni degli ultimi anni frutto d’intuizioni 'biomimetiche' maturate con i piedi in acqua, per così dire. Al punto che una parte del nostro futuro potrebbe provenire dritta dal mare e dagli oceani.

A Biarritz, la stazione balneare del Sudovest francese che si prepara ad accogliere il G7, si è tenuta, il 18 marzo scorso, una giornata di studio dal titolo eloquente: «L’oceano, fonte d’ispirazione e innovazione ». Anche oltralpe, come in Germania, Gran Bretagna, Cina, Giappone, Stati Uniti e Canada, la biomimesi tecnologica pronta ad emulare le 'invenzioni' naturali della vita che si è adattata per milioni di anni agli ambienti marini sta conoscendo uno sviluppo vertiginoso, con migliaia di ricercatori ormai in prima linea, tanto a livello universitario, quanto nei laboratori dell’industria. Si prenda il caso della celebre 'lattuga di mare', alga verde comunissima pure nel Mediterraneo e vista ancora da molti bagnanti solo come un fastidioso ostacolo ai tuffi in acqua. Sarà. Ma al di là degli usi in cucina di queste alghe, già ben noti, un pool di scienziati tedeschi, austriaci e francesi ha appena scoperto che potrebbero rappresentare una straordinaria fonte d’energia sostenibile.

A rivelarlo non è stata solo la manipolazione in laboratorio della struttura biochimica di queste alghe, ma soprattutto un’osservazione perspicace di quanto già fanno in natura certi batteri. L’ulvana, principale componente zuccherina della 'lattuga di mare', viene infatti naturalmente scomposta, attraverso una dozzina d’enzimi presenti in particolare nei batteri della specie 'Formosa argariphila', in molecole potenzialmente utilizzabili per produrre bioetanolo, oltre che in campo cosmetico. Appena pubblicato sulla rivista Nature Chemical Biology, lo studio internazionale frutto di vari atenei europei (le università tedesche di Brema e Greifswald, l’Università tecnica di Vienna, accanto alla Sorbona, attraverso la sua stazione biologica bretone di Roscoff) apre orizzonti molto promettenti. Una biomassa non di rado 'invadente' sulle coste e finora considerata prevalentemente nociva, anche per il turismo, potrebbe così diventare una miniera d’oro dell’ecosostenibilità.

I nipotini contemporanei di Leonardo si sono resi conto di un paradigma stupefacente: in mare, la vita trova soluzioni da tempo immemorabile traendo energia soprattutto dalla luce e con eccezionale parsimonia. In più, senza emettere scarti che non siano degradabili. Proprio quello che occorrerebbe alle società umane per tornare sui binari di uno sviluppo ragionevole. È ispirandosi in particolare al modello delle razze e delle anguille che non pochi ingegneri cercano di perfezionare dei generatori innovativi per sfruttare in futuro l’energia delle correnti marine.

Le tradizionali eliche, in effetti, presentavano certi pro- blemi, impatti e vulnerabilità. Forse meglio, dunque, cercare di trarre insegnamento dal talento ondulatorio dimostrato dalle creature dei fondali, capaci di cavarsela sempre di fronte a tempeste e turbolenze d’ogni tipo. Una parte dell’energia blu potrebbe così essere presto prodotta proprio da membrane in ondulazione, come quelle in fibre di vetro e carbonio ricoperte da gomma sviluppate dalla società francese Eel Energy, il cui motto è «riprodurre le qualità dei sistemi biologici». Dei tappeti ondulanti biomimetici di profondità si candidano così a sostituire le vecchie turbine, spesso denunciate anche per gli effetti nocivi sulla fauna acquatica. ntanto, soprattutto negli Stati Uniti, l’os-Iservazione dei mitili e in particolare dell’organo e della sostanza filamentosa resistentissimi all’acqua che sviluppano per fissarsi a qualsiasi superficie sommersa, il cosiddetto bisso, ha scatenato una gara fra laboratori di ricerca e industriali, nel tentativo d’inventare la supercolla idroresistente del futuro. L’industria ha già trovato una scorciatoia, commercializzando semplicemente la proteina purificata estratta dal bisso come colla impiegata attualmente nei laboratori. Ma si tratta solo di un primo passo, anche per via del costo proibitivo della sostanza. Se il bisso venisse davvero emu-lato, il settore dei materiali immersi in acqua, ad esempio nell’industria navale, potrebbe compiere passi da gigante.

Un’altra proprietà impressionante degli organismi marini al centro di numerosi progetti di ricerca in tutto il mondo è la bioluminescenza, sviluppata non solo dalle creature abissali. Sarà possibile un giorno creare oggetti o interi sistemi d’illuminazione traendo ispirazione da quanto avviene sott’acqua? La sfida è lanciata, con qualche realizzazione sperimentale già presentata da aziende innovative, anche in questo caso soprattutto attraverso scorciatoie tecnologiche. In Francia, ad esempio, l’azienda Glowee commercializza dei gusci trasparenti ed ermetici che contengono dense colture di batteri bioluminescenti: delle lampade naturali totalmente scon- nesse dalla rete elettrica e che emanano una luce particolarmente soffusa, apprezzata ad esempio negli spazi per il relax. «È il mare che c’illumina», recita il motto dell’impresa.

Il campo da cui trarre insegnamenti e ispirazione è molto vasto. «Un esempio molto interessante è quello delle risorse genetiche dei mari profondi, ad esempio in prossimità di sorgenti idrotermali come quelle a largo delle Galapagos, con comunità biologiche che in assenza di luce si strutturano attorno all’energia chimica», ci spiega Salvatore Aricò, a capo della sezione delle scienze oceaniche presso la Commissione oceanografica intergovernativa, basata a Parigi, presso l’Unesco: «Essendo questi ambienti estremi, per temperatura, per pressione e per tossicità, data la forte presenza di metalli pesanti, gli organismi che vi vivono, soprattutto i batteri, hanno sviluppato delle proprietà metaboliche uniche. Per questo, sono di grande interesse per l’industria farmaceutica e per l’industria in generale». In termini d’inventività della natura, è come se a migliaia di metri di profondità fossero custodite delle scatole degli attrezzi utilissime per risolvere svariati problemi concreti nelle attività umane: «Ad esempio, nell’industria che produce carta a partire dalla polpa degli alberi, uno dei problemi è ridurre la viscosità della polpa. Gli enzimi per poterla ridurre esistono, ma si denaturano alle alte temperature del processo di produzione. Ecco allora che lo studio degli enzimi isolati a partire dai batteri profondi oceanici risolve il problema».

Sul piano filosofico, uno dei punti di forza della biomimesi sta in un’intrinseca umiltà dell’uomo nei confronti delle invenzioni della natura. Con il cuore del credente, si dovrebbe dire, nei confronti delle meraviglie del Creato, anche alla luce degli insegnamenti della Laudato si’. Ciò è particolarmente vero a proposito dei mari, culle di vita e di civiltà. Mezzo millennio dopo, l’approccio intriso di sensibilità e ammirazione per la natura del Leonardo scienziato e ingegnere pare finalmente pronto a sfondare e forse un giorno a primeggiare in campo epistemologico. Assieme alla speranza che ciò possa pure correggere altri approcci più demiurgici, finora dominanti, in parte responsabili dei profondi squilibri ambientali ormai sotto gli occhi di tutti.

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