Corridoi umanitari per i respinti di Haiti
mercoledì 22 settembre 2021

Gentile direttore,
il mondo sta conoscendo la disperazione di migliaia di persone in cerca di un futuro sul confine tra Messico e Stati Uniti. Donne e bambini accampati sotto il grande ponte della città texana di Del Rio. Quasi tutti – almeno 14mila secondo le stime – provenienti da Haiti, il piccolo Stato caraibico dove vivo anche io in quanto responsabile di una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII. Per molti di loro il viaggio è terminato nel peggiore dei modi: sono stati rimpatriati forzatamente qui ad Haiti. Per evitare l’espulsione, molti si stanno affrettando a rientrare in Messico.

Uno scarno comunicato dell’Homeland Security spiega che «l’amministrazione Biden riafferma che le frontiere non sono aperte» e che «gli immigrati irregolari saranno rapidamente presi in custodia, processati e sgomberati (remove) secondo la legge ». Espulsi senza appello. Eppure tutti sanno da dove scappano: Haiti. Il piccolo Paese dei Caraibi dove lo scorso 7 luglio è stato assassinato il presidente Moise. E dove il 14 agosto un terremoto di magnitudo 7,2 ha provocato 2.200 morti e 30mila feriti. Quella mattina stavamo facendo colazione, alcuni bambini stavano ancora dormendo. Inizialmente pensavo di aver avuto un malore, mi tremavano le gambe e vedevo tutto attorno che si muoveva, poi ho capito.

Noi viviamo nella capitale e non abbiamo avuto danni. Ma qui e altrove i sopravvissuti sono stati abbandonati in quanto gli aiuti umanitari internazionali non riescono ad arrivare perché razziati da bande criminali. Da inizio anno si verifica un rapimento al giorno. Due settimane fa è stato ucciso un prete che assisteva gli orfani. Questo è quello che è successo solo negli ultimi due mesi. Qui non sono crollati solo i palazzi, qui è crollato uno Stato intero.

Al posto dei partiti ci sono bande armate e l’unica legge è quella del più forte. Non le nego, caro direttore, che la vita per la nostra casa famiglia è sempre più difficile. Io sono arrivata qui dopo il terremoto del 2010, ma da allora le cose sono andate sempre peggio. Il tasso di povertà è aumentato esponenzialmente. Ogni giorno riceviamo messaggi di zone rese inaccessibili, pneumatici incendiati, sparatorie. Io e le mie figlie usciamo di casa il meno possibile, vado solo alla santa Messa nella chiesa della missione perché non lontana da casa. La situazione è molto pericolosa.

Ecco, questo è il luogo da cui sono partiti questi 14mila migranti. E per farlo hanno compiuto un viaggio ancor più pericoloso, una delle rotte migratorie più rischiose al mondo. Preso un aereo da Port-au-Prince hanno raggiunto l’Ecuador, dove non viene richiesto un visto agli haitiani. Passati in Colombia hanno attraversato zone dove sono ancora presenti paramilitari e guerriglia per giungere a Necoclí, una città dove ci si imbarca per attraversare il golfo di Urabà.

Per passare la frontiera con Panama hanno attraversato il Darìen, una foresta pluviale dalla fitta vegetazione che rappresenta il confine naturale tra l’America centrale e l’America del Sud. Infine hanno percorso tutta l’America centrale, evitando di essere reclusi dalla polizia di frontiera, derubati da criminali o rapiti dai narcos. Infine, sulla soglia della speranza, il loro viaggio si è interrotto.

Per ora. La speranza è che l’umanità agisca per aiutare Haiti. E che anche in questo angolo di mondo possiamo portare la buona pratica dei corridoi umanitari, viaggi legali e sicuri, che danno un futuro a tante persone la cui unica colpa è essere nati nel posto sbagliato.

Associazione Papa Giovanni XXIII

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