sabato 7 dicembre 2013
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Nella storia della Chiesa, le donne hanno già mosso molto. Hanno mosso vescovi e papi e sono certamente in grado di farlo anche con le conferenze episcopali. Molte grandi sante donne sono riuscite a fare questo nella storia della Chiesa. Sull’esempio di Maria di Magdala, apostola apostolorum, che la mattina di Pasqua ha svegliato gli apostoli dal loro letargo e li ha messi in moto». Così asseriva il cardinale Walter Kasper in una conferenza tenuta nel febbraio di quest’anno sul tema «La collaborazione tra uomini e donne nella Chiesa». Sono parole che anticipano e concorrono nella direzione indicata da papa Francesco nei suoi reiterati interventi riguardo alla questione femminile e al ruolo delle donne nella Chiesa. Dei suoi nove mesi di pontificato non uno è trascorso senza un pronunciamento riguardante le donne, e con dichiarazioni a dir poco incisive, sorprendenti, spiazzanti.
In modo inaudito è il Papa che si sta facendo lealmente interprete delle istanze più profonde e vitali dell’universo femminile. Si sta interrogando e sta interpellando le donne per quello che riguarda il loro destino presente e futuro nella Chiesa. Maria Voce, rispondendo alla sterile, quanto grottesca, questione sulle donne cardinale, faceva osservare: «Non m’interessa che una persona eccezionale sia fatta cardinale... grandi figure, dottori della Chiesa sono state valorizzate. Ma è la donna in quanto tale che non trova il suo posto. Ciò che va riconosciuto è il "genio femminile" nel quotidiano». Papa Bergoglio afferma che «la Chiesa non può essere se stessa senza la donna e il suo ruolo. La donna per la Chiesa è imprescindibile». Non si tratta dunque solo di onorare e di elargire ancora onorificenze alle donne: «È necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva». Questo è il vero punto nevralgico d’interesse reale, fondamentale della nuova prospettiva aperta da Francesco.
Ma una «presenza femminile più incisiva» presuppone che anche nella Chiesa certo "maschilismo" sotterraneo sia definitivamente «sanato dal Vangelo», come rileva l’Evangelii gaudium e allo stesso tempo, sempre nell’ottica del Vangelo, sia sanato certo clericalismo e carrierismo diffuso che risponde a logiche di potere inteso come dominio. Logiche nelle quali, la presenza delle donne negli organismi vigenti, nei vicariati, nelle curie, compresa la Curia romana, viene a essere spesso ridotta a presenza simbolica o asservita. Dinamiche, queste, offensive non solo delle donne ma anche degli uomini.Cinquant’anni fa nell’enciclica Pacem in terris Giovanni XXIII annoverava tra i segni dei tempi la partecipazione effettiva della donna nella vita pubblica. È possibile che a cinquant’anni di distanza l’unico risultato compiuto negli organismi centrali della Chiesa sia una concessione spesso simbolica e discutibile di "quote rosa"? Un contesto tutt’altro che roseo se persino il termine "valorizzazione" delle donne è stato spesso inteso come "concessione" alle donne. «Io soffro, dico la verità», afferma Papa Francesco, «quando vedo nella Chiesa o in alcune organizzazioni, che il ruolo di servizio – che tutti noi abbiamo e dobbiamo avere – il ruolo di servizio della donna scivola verso un ruolo di servitù». Più volte ha rimarcato questo aspetto e più volte ha chiesto: «Quale presenza ha la donna nella Chiesa?».
Alla luce delle parole del Papa, a questo punto, si prospettano due strade. La prima è quella di un «approfondimento teologico che potrebbe aiutare a meglio riconoscere il possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della Chiesa», come afferma nell’Evangelii gaudium. «Da qui – dice Francesco – dobbiamo ripartire per quel lavoro di approfondimento e di promozione che già più volte ho avuto modo di auspicare» e che potrebbe anche contemplare un atto magisteriale. Del resto, la Mulieris dignitatem, il primo documento del magistero pontificio dedicato interamente al tema e nel quale Giovanni Paolo II si sofferma sulla pari dignità della donna, offre ulteriori ambiti di indagine e di sviluppo; in particolare per quel che riguarda il concetto di "complementarietà", non del tutto chiarito.
La seconda strada, conseguente o parallela alla prima, è quella della presenza e della collocazione effettiva della donna in quanto tale nell’ambito degli apparati ecclesiali. Strada che si presenta difficile, in assenza ancora di un chiaro pronunciamento magisteriale in questo senso, e minata dai mali evidenziati: da una parte certo maschilismo, dall’altra, in particolare, il clerico-carrierismo, da cui non sono esenti anche le donne. «Se da un lato, infatti – spiega Papa Bergoglio – si mette in disparte la donna con le sue potenzialità, dall’altro c’è il pericolo in senso opposto: quello di promuovere una specie di emancipazione che, per occupare gli spazi sottratti dal maschile, abbandona il femminile con i tratti preziosi che lo caratterizzano». Si tratta di un’emancipazione, quindi, che in quest’ottica passerebbe attraverso la clericalizzazione. «I discorsi che sento sul ruolo della donna – dice infatti ancora Francesco – sono spesso ispirati da un’ideologia machista».
In sostanza il timore paventato dal Papa qual è? Quello che un’eventuale e larga partecipazione femminile negli organismi centrali potrebbe essere compromessa dal "machismo in gonnella"? Se così fosse, certamente tale timore avrebbe fondamento perché non si andrebbe verso una Chiesa "rinnovata" ma una Chiesa "mutante". Bisogna tuttavia chiedersi quante sono in realtà le donne che bramano la conquista del potere nelle curie. Forse, alla stragrande maggioranza di esse questa prospettiva non interessa affatto o, comunque, ne sono pressoché estranee. In ampi settori del laicato e della vita religiosa si ha conoscenza di tante e tante donne che negli incarichi svolti nel quotidiano, con dedizione e coscienza, e spesso anche con coraggio eroico, hanno messo a frutto quel loro «genio», quei loro «tratti preziosi» nelle più varie, specifiche e qualificate competenze unite all’esperienza reale di essere madri, formatrici.
È la moltitudine di donne che pur non avendo voce in capitolo, in silenzio, ma con le spalle larghe del loro vissuto nella fede, hanno sostenuto e protetto la Chiesa dai colpi inferti dalla "eresia dell’istituzionalismo". Le voci di queste donne dovrebbero essere ascoltate, riconosciute e rappresentate anche per svolgere, accanto agli uomini, con autorevolezza e pari dignità, incarichi di piena responsabilità in uno spirito di autentico servizio. E se proprio dalla loro presenza «più incisiva» negli organismi decisionali venisse l’attesa sferzata? E se la loro presenza favorisse un’efficace "messa in moto" (sull’esempio di figure significative della storia del cristianesimo) di salutari processi che spingano avanti la Chiesa? Se così fosse, basterebbe solo un passo. Il crinale storico nel quale attualmente ci troviamo interpella tutti, e un dato è certo: se la Chiesa vuole correre avanti nel segno dei tempi non può lasciare indietro le donne. Semplicemente non può permetterselo.
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