sabato 22 gennaio 2022
L'impegno della Pontificia Università Lateranense. Per troppo tempo si è temuta l’omologazione, senza interrogarci sulle ragioni alla base delle diverse forme del cristianesimo
Comunione nelle differenze: per un rinnovato ecumenismo

Siciliani

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L’ecumenismo si può declinare in tanti modi: 1) a livello di incontri fra rappresentanti delle diverse chiese cristiane, con dichiarazioni di intenti alquanto lontane dalla prassi e dalla vita concreta del popolo di Dio; 2) a livello teologico, su cui pende il famoso giudizio relativo alla sterilità di tali incontri, per cui qualcuno (il patriarca Atenagora) auspicava il relegare i teologi su un’isola deserta e, 3) a livello di base, con momenti intensi di preghiera in cui non si comprende fino in fondo perché rimaniamo divisi. Una delle modalità, che ci è sembrato di dover mettere in campo, è quella della «comunione delle differenze», secondo il dettato di Evangelii gaudium, 228: «In questo modo, si rende possibile sviluppare una comunione nelle differenze, che può essere favorita solo da quelle nobili persone che hanno il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale e considerano gli altri nella loro dignità più profonda.

Per questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto. La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto». Al termine dell’udienza di mercoledì 19 gennaio papa Francesco ha invitato a pregare proprio per la 'comunione' fra i cristiani: «La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che è iniziata ieri, ci invita a chiedere al Signore con insistenza il dono della piena comunione tra i credenti».

Per troppo tempo abbiamo inteso l’ecumenismo come omologazione, senza interrogarci sulle motivazioni di fondo che soggiacciono alle differenti forme del cristianesimo, che si possono ricondurre, con riferimento a una nobile tradizione alla metafora delle tre chiese: di Pietro, di Paolo e di Giovanni, secondo il dettato della 'Filosofia della rivelazione' di Friedrich Schelling e del 'Racconto dell’Anticristo' di Vladimir Solov’ëv: rispettivamente la dottrina, la missione, la mistica. Non è difficile constatare la stagnazione del dialogo ecumenico, che vive qualche momento di ripresa soltanto in occasioni sporadiche o ricorrenti, ma certamente non decisive per l’esistenza dei cristiani. Eppure, il lavoro che ci viene chiesto dalla Parola di Dio consiste nella fatica della comprensione del diverso o, come avrebbe detto il compianto filosofo Jean-Luc Nancy, nel tentativo di «dar corpo alle differenze».

Per questo nella Pontificia Università Lateranense - da più parti riconosciuta come l’Università del Papa - non si è voluto mettere in campo l’ennesimo percorso di teologia ecumenica, ma si è puntato sull’interconfessionalità, intesa come luogo in cui le forme del cristianesimo presenti nell’oggi della storia possano interconnettersi, dialogare e cooperare alla venuta del Regno di Dio. Nel grembo di questa iniziativa, che vede coinvolti, a livello di assolta gratuità e di volontariato, esponenti delle diverse teologie, è nata la collana Stacüs, ovvero – in greco – Spiga, presso le edizioni San Paolo, coordinata dai professori Fulvio Ferrario, Germano Marani e dal sottoscritto. L’icona della 'spiga' rappresenta il senso che soggiace a questo lavoro. Si tratta della collaborazione di docenti ed esperti delle principali confessioni cristiane, che si lasciano interrogare da tematiche attuali e fondamentali per la vita delle Chiese sia d’Occidente che di Oriente.

Ciascun volume è affidato a un gruppo di teologi, appartenenti alle diverse forme del cristianesimo, il cui futuro sta a cuore a ciascuno. Si tratta di sussidi offerti agli studenti e agli operatori pastorali perché possano riflettere ed orientarsi circa le posizioni delle comunità cristiane intorno a temi decisivi, che richiedono un lavoro di conoscenza, che possa sostenere l’agire ecclesiale, ossia personale e comunitario. La 'spiga' richiama la «comunione nelle differenze», a cui si ispira la ricerca e l’attività didattica degli Autori, in quanto si presenta come un contenitore di semi diversi, chiamati a formare lo stesso pane. E tale destinazione esprime la nostalgia e il desiderio dell’ospitalità eucaristica fra le Chiese, chiamate a ritrovare l’unità perduta, senza disperdere il patrimonio di ciascuna, che nelle differenze manifesta la fecondità del Vangelo nella storia. Possiamo annunciare con gioia e profonda soddisfazione che hanno già visto la luce i primi tre volumetti della collana: il glossario intitolato 'Le parole della fede', quello relativo al rapporto 'Scrittura e Tradizione nella Chiesa' e, fresco di stampa, 'La riconciliazione delle memorie', mentre attendiamo con ansia la pubblicazione sulla 'Sinodalità'.

Al di là della qualità dell’esperienza di coloro che la stanno vivendo, il sintagma con cui si denomina tale iniziativa, che attua un percorso accademico-didattico e un cammino di ricerca, tende alla «comunione», che ne costituisce l’orizzonte di senso. E, almeno da parte di chi scrive, si tratta della comunione concreta e non meramente immaginata o sognata, per cui credo possiamo condividere il la tesi che, finché non si giunge alla stessa mensa, ogni tentativo risulterà monco. A tal proposito mi sembra di dover sottolineare il fatto che se, come da più parti si afferma, si potrà raggiungere tale finalità solo se si assume come punto di partenza il pur necessario riconoscimento reciproco dei 'ministeri', l’impresa sembra destinata al fallimento e a generare frustrazione, per una serie di motivazioni, di cui chiunque può facilmente rendersi conto. Sarà invece molto più fecondo istruire una profonda e seria riflessione teologica e antropologica a partire dalla convivialità, intorno ai segni del pane e del vino, che ci accomuna a prescindere dalla confessione cui apparteniamo.

Si tratta di prendere sul serio l’affermazione secondo cui «la Chiesa fa l’Eucaristia» e viceversa, e quindi di ripensare il servizio ministeriale a partire da tale fondamentale assunto, indicando le motivazioni di fondo che soggiacciono alle scelte concrete delle diverse confessioni. Nel frattempo, non ci resta che offrire la profonda sofferenza per questa impossibilità e invocare lo Spirito Santo perché illumini le comunità e ispiri soluzioni condivise tali da non mortificare nessuna appartenenza. Se, infatti, come insegna il grande Pavel Florenskij il culto si comprende solo dall’alto, nella comunità che fa l’Eucaristia agisce il soggetto trascendente che è lo Spirito, sia pur attraverso la ministerialità del popolo di Dio e del ministro ordinato.

Tale prospettiva consentirebbe la messa in atto di due punti fondamentali del magistero di papa Francesco: innanzitutto il primato del reale sull’idea, ossia il profondo realismo, che nasce dall’intenzionalità eucaristica di tutte le Chiese, come ad esempio mostrano le recenti pubblicazioni nella nostra lingua del testo luterano dedicato alla 'Confessione della cena' del 1528, curate da una editrice cattolica come Studium e dalla Claudiana valdese. In secondo luogo, la necessità di attivare processi piuttosto che occupare spazi. In tal senso il cammino dovrà tendere alla valorizzazione delle differenze, piuttosto che al loro annientamento. Mentre mettiamo a disposizione di tutti alcuni strumenti per la reciproca comprensione, speriamo solo di non essere smentiti dalle scelte delle gerarchie, che auspichiamo attente al lavoro faticoso, affascinante e quotidiano di chi cerca di pensare, insieme ai fratelli, la fede.

Nell’oggi della storia, dobbiamo, infine, ma non in ultimo, registrare un ecumenismo che fa ulteriormente pensare: si tratta dell’'ecumene del sangue', che vede i cristiani perseguitati e uccisi in diverse zone del pianeta. 'Avvenire' ne ha dato di nuovo conto il 20 gennaio, informandoci con un articolo di Luca Liverani basato sulla World Watch List di Porte aperte-Open Doors che a subire violenze sono quattro tipologie di credenti in Cristo: le comunità di espatriati e immigrati, le Chiese storiche (cattolici, ortodossi e protestanti tradizionali), le comunità evangelicali e protestanti non tradizionali e infine i convertiti in particolare dall’islam o dall’induismo. Mentre non possiamo tacere di fronte a ogni negazione della libertà religiosa (che costituisce il sintomo della soppressione di ogni libertà umana) preghiamo e speriamo che il sangue dei cristiani possa essere seme per una piena comunione fra le Chiese.

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