Fase espansiva e debito da ridurre
giovedì 12 settembre 2019

Le condizioni sembrano oggi così favorevoli da suggerire al Governo la massima attenzione a non cadere nell’errore di re Mida. Il nuovo esecutivo giallorosso, eliminata l’ipoteca implicita dei no-euro, può preparare infatti una Legge di bilancio, pur complessa, beneficiando di uno spread sceso di quasi 70 punti base, il più basso che un governo esordiente abbia trovato al suo debutto nell’ultimo decennio. Proviamo a quantificare: da solo, questo addio al rischio di ridenominazione provocato dal fantasma "Eurexit" assicurerà già a fine anno una cedola di quasi tre miliardi in minori interessi sul debito. A questi livelli, i miliardi sarebbero sei l’anno prossimo. I mercati (e i risparmiatori), insomma, hanno riaperto una linea di credito all’Italia. La Banca centrale europea, per di più, assicurerà ancora a lungo politiche monetarie espansive, temendo l’arrivo di una brutta recessione.

L’interlocutore Europa, poi, è adesso davvero disponibile a rivedere alcune rigidità o disfunzionalità delle regole comuni sui bilanci pubblici. Anche in questo caso, visti i nuvoloni all’orizzonte, per liberare risorse che servano ad alimentare politiche economiche anticicliche. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha esplicitamente citato nel suo discorso programmatico la necessità di aggiornare i meccanismi del Fiscal Compact. Christine Lagarde, presto alla guida della Bce, ha abbracciato addirittura la "vecchia" proposta italiana degli Eurobond. Persino in Germania, da molti osservatori considerata la patria dei "falchi", lo spettro di una brusca frenata dell’industria e soprattutto delle esportazioni ha indotto diversi "decisori politici" a riconsiderare la necessità di sviluppare la domanda interna con investimenti pubblici.

E Berlino dispone di autentiche praterie nel bilancio per compensare la perdita di colpi di un motore di crescita basato ancora sugli avanzi della bilancia commerciale (a scapito dei partner Ue). Il barometro del pensiero economico segnala insomma un cambio di pressione dall’austerità alle misure espansive. Un clima che prelude a condizioni di maggior serenità per trattare sulla nostra bestia nera: il deficit. Questo parametro, tuttavia, non sarà mai e in alcun modo per l’Italia "oro che cola" fino a quando non riusciremo ad abbattere l’immenso stockdel debito e la sua patrimoniale occulta da almeno 60 miliardi d’interessi l’anno. Non andrebbe mai dimenticato: ogni euro che non abbiamo e spendiamo male, indebitandoci oggi, è infatti una tassa che i giovani pagheranno caro domani.

Ecco perché il primo errore che Roma dovrebbe evitare è quello commesso dal mitico e dannato re frigio: sbagliare domanda. A breve con la Legge di Bilancio, più avanti nel rivedere il Patto di stabilità e crescita. Chiedendo ad esempio genericamente "più deficit". Mida è conosciuto per la sua cupidigia. Com’è noto, voleva poter trasformare in oro ciò su cui posava le mani. Ma quello che improvvidamente domandò agli dei e Dioniso gli concesse fu in realtà l’incapacità di evitare che qualunque cosa toccasse diventasse metallo prezioso. Se dunque l’avidità, sotto il profilo morale, fu l’istinto che lo condannò a rendere anche sua figlia insieme a cibi e bevande una statua, la causa efficiente – direbbe un teoreta – dell’indesiderata trasmutazione fu in realtà una domanda posta male.

È stato cioè un errore di logica e di sintassi a produrre il paradosso. Istinti e istanze populistici hanno già spinto i governi Renzi, Gentiloni e Conte I a sbagliare richiesta: hanno ottenuto legittimamente più deficit, anche se non tutto l’oro desiderato, ma per finanziare spesa corrente – in particolare il Bonus 80 euro e Quota 100 – e non investimenti. Il Fiscal Compact, pur da rivedere, garantisce infatti ampi margini di flessibilità in presenza di recessione o circostanze eccezionali.

E l’Italia ne ha beneficiato fino all’ultimo centesimo, per 30 miliardi, sotto la precedente Commissione Ue. Le attuali circostanze permetteranno dunque all’esordiente ministro dell’Economia Roberto Gualtieri di incassare il via libera per un nuovo aumento del disavanzo fino allo 0,7%. Fanno 12 miliardi. Considerata l’Iva da sterilizzare, sarebbe bene utilizzare almeno parte di queste risorse e di quelle ottenute da una revisione qualificante della spesa in qualche forma di investimento per favorire la crescita della scarsa produttività, insieme al debito pubblico il nostro cappio al collo. Come i possibili risparmi da pensioni anticipate e Reddito di cittadinanza potrebbero finanziare la riduzione del cuneo fiscale.

E con la mai compiuta riorganizzazione delle agevolazioni ( tax expenditures) sarebbe opportuno concentrare i tanti e risicati interventi per la famiglia sulla proposta di un corposo assegno unico per i figli, aggredendo in questo modo il primo, vero problema strutturale della nostra economia che è il collasso demografico. Bruxelles ha peraltro assegnato a una Commissaria una delega per la Demografia: chiedere deficit per sostenere la natalità è forse per un’Italia sempre più vecchia un autentico investimento in conto capitale. Per dare ulteriore credibilità a queste misure è in ogni caso necessario intervenire in modo serio sulla montagna del debito pubblico. Lo si potrebbe fare con una delle tante proposte formulate in tal senso anche su questo giornale: dal progetto P.A.D.R.E (Politically Acceptable Debt Restructuring in the Eurozone) illustrato da Leonardo Becchetti e avanzato da uno dei più noti economisti europei, Charles Wyplosz, che prevede il coinvogimento della Bce con l’emissione di obbligazioni per acquistare l’intero debito pubblico dei Paesi dell’eurozona e trasformarlo in una perpetuity senza interessi, all’idea di valorizzare gli asset pubblici con il risparmio privato suggerita, sempre su 'Avvenire', dal Ceo di Intesa SanPaolo Carlo Messina.

Sono tutte scelte politiche che richiedono un esercizio di altissima responsabilità. Perché scegliere è doloroso, scontenta molti soprattutto nell’immediato, va spiegato e rispiegato con pazienza. Che si tratti di dare maggior qualità alla spesa pubblica, di utilizzare al meglio la leva fiscale o di aggredire il problema del debito, bisogna comunque scegliere. Chiedendosi quali fra le tante, forse troppe, sono le vere urgenze degli italiani di oggi e di quelli di domani. L’intelligenza, del resto, si misura di solito nelle risposte che uno dà. Ma sono le domande – che le ponga un re, un governo, qualsiasi uomo – a rivelarne la saggezza.

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