Come urlo dal basso
martedì 10 dicembre 2019

C’è un grande vuoto che occupa gran parte dello spazio politico italiano in questo momento storico. Ce lo dicono, con due linguaggi diversi, due fatti venuti alla ribalta in questi ultimi giorni.
Da un lato l’ultimo rapporto Censis, secondo il quale quasi un italiano su due (48%) spera nell’arrivo di un "uomo forte" che, senza preoccuparsi troppo del Parlamento e delle elezioni, riesca a mettere le cose a posto.

Si tratta certamente di un dato preoccupante, segno di una diffusa stanchezza nei confronti della democrazia. Quasi che si cominciasse a disperare di poter trovare la via per mettere un po’ d’ordine in un mondo che sembra scivolare nel caos. Un punto di esasperazione rispetto a classi dirigenti che dimostrano, ormai quotidianamente, una palese inadeguatezza nel gestire le sfide della vita comune.
In un modo del tutto diverso, anche tra le Sardine che hanno riempito le piazze in questi giorni si ritrova la stessa domanda di politica che non trova interlocutori. Partito da un gruppo di giovani stanchi di vedere il Paese avvitarsi in una deriva pericolosa, questo fenomeno ha avuto uno sviluppo tanto inaspettato quanto veloce: come se si fosse buttato un fiammifero in un bosco secco a causa di una lunga aridità, facendo così divampare un incendio che si è poi propagato per l’intera foresta. I migliaia di partecipanti alle manifestazioni di questi giorni non costituiscono la risposta. Ma dicono solo della enorme "sete" del terreno.

In entrambi i casi, l’immagine che viene alla mente è quella del celebre quadro conosciuto come "L’urlo di Munch". Di fronte allo spettacolo della politica, il cittadino italiano si sente solo, stanco e sconfortato per l’incompetenza dei governanti con i loro insopportabili personalismi. Incerto sul proprio futuro e desideroso di trovare qualche punto di riferimento, il nostro cittadino urla la propria disperazione nella speranza che qualcuno la raccolga.
Non si possono sottovalutare i rischi di una tale situazione. Se lasciati a loro stessi, questi sentimenti possono davvero essere l’anticamera di gravi processi involutivi. Che potrebbero implicare, come sbocco estremo, persino il collasso della democrazia. Esito che non si può escludere non tanto per la volontà degli attori in campo, quanto per le forti tensioni che attraversano il contesto internazionale odierno. Un quadro difficile, inquieto, violento nel quale l’Italia potrebbe rischiare di trovarsi in oggettiva difficoltà. Ma non si può nemmeno non riconoscere ciò che questo "urlo" lascia intravvedere: una speranza di futuro da ricostituire e riaffermare.

Il termine 'crisi' ha origine medica e indica un cambiamento nel decorso di una malattia che porta a momento cruciale di valutazione e discernimento. Momento che può trasformarsi nel passaggio verso un miglioramento, la guarigione, la rinascita. L’Italia si trova di nuovo in un frangente di questo tipo: dopo varie vicissitudini, il lungo declino che ci accompagna da tempo appare sempre meno sopportabile e rischia di sospingerci verso una definitiva regressione. Ma, al tempo stesso, proprio questa crisi sollecita una via nuova. La convinzione diffusa (per quanto confusa) è che non si può più andare avanti così e che è necessario cambiare strada. Come qualche anno fa - quando Renzi si affermò, appagando una domanda insoddisfatta - il Paese è pronto a voltare pagina. Le forze sociali, economiche e spirituali ci sono. Non è vero che tutto è morto. Le energie positive, per quando disperse e frammentate, resistono e permettono al Paese di andare avanti.

Nonostante tutto, l’Italia rimane un Paese vitale, pieno di risorse invidiate da tutto il mondo. Ma non riesce più a trovare un filo del discorso comune che le consenta di ritrovarsi e di guardare avanti con fiducia. Afflitta da mille egoismi, ha perso la bussola del bene comune.

Se si vuole essere realisti, né a destra né a sinistra oggi si vedono idee e proposte qualificate e praticabili. Né tanto meno gruppi dirigenti preparati e coesi. Allora, è bene cercare di darsi un po’ di tempo, con un governo che si pensi come l’infermiere in attesa del medico in grado di formulare una terapia seria per superare la crisi.

L’urlo di questi giorni risuona fortissimamente, dando voce al dolore e insieme alla speranza che attraversa la Penisola. Il nostro primo compito è quello di ascoltarlo. Con calma e con umiltà. Senza saltare subito alle conclusioni e riconoscendo i tanti errori e le ripetute omissioni. A cominciare da quelle che ci riguardano personalmente. Solo partendo da un ascolto vero sarà possibile arrivare a formulare le risposte che i cittadini aspettano da tempo. E ascoltando si capirà anche che chi è oggi è al potere e siede in Parlamento ha già consumato le proprie chance. Un lavoro essenziale che nei prossimi mesi occorrerà fare è aiutare l’emergere di una nuova classe dirigente fatta di gente che s’impegna, che è competente, che crede nel futuro. Una classe dirigente che nel Paese c’è già. E che il Paese stesso spera di incontrare.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI