«Come si vive coi 190 euro del Rei?» Buona misura sotto-finanziata
sabato 1 luglio 2017

Gentilissimo direttore,

leggo di continuo tantissimi articoli per il reddito d’inclusione, vorrei farle una domanda: con quale criterio si distribuiscono questi soldi? Leggo che partono da un minimo di 190 euro e arrivano a un massimo di 485. Adesso mi spieghi lei, prendendo il mio esempio: vivo da sola, pago 300 euro tra pigione e bollette e non devo mai ammalarmi e in più non dovrei mangiare per sopravvivere. Non lavoro più, prima di tutto perché il lavoro non c’è. Poi alla mia età – 64 anni – per lo Stato non sono più idonea, la Fornero ha alzato la soglia per avere la pensione quindi io devo aspettare fino a 66 anni e 6 mesi. Ora io mi domando: essendo una sola persona dovrei prendere con questo reddito 190 euro e che cosa ci faccio? Me lo dica lei... Si devono vergognare perché non provano loro a vivere con la miseria che vogliono dare? Sono inorridita. Mi firmo

Antonietta Borriello Ponticelli, Napoli

Cara signora Borriello,

le rispondo su richiesta del direttore, dicendo subito che è difficile darle torto. Bastano infatti le poche cifre che lei ha scritto nella colonna delle uscite del suo bilancio familiare per evidenziare i due limiti che caratterizzano, prima ancora del suo avvio, il Reddito d’inclusione (ReI): l’estensione e l’adeguatezza. Sul primo nodo abbiamo scritto molto, ricordando come la pur fondamentale scelta del governo di dotarsi finalmente di uno strumento di contrasto alla povertà, sia decisamente sottofinanziata e possa raggiungere in questa prima fase poco più di un terzo delle persone in condizione di povertà assoluta: 1,8 su 4,6 milioni stimate dall’Istat. Per questo è stato deciso di dare priorità ai nuclei con figli minori o disabili, alle donne in gravidanza e agli ultra 55enni in condizione di disoccupazione, come pare di capire essere il suo caso.

Per arrivare a coprire tutte le situazioni di bisogno estremo occorrerebbero almeno 7 miliardi di euro, secondo le stime dell’Alleanza contro la povertà, più del triplo dei 2 miliardi di euro complessivamente destinati per il 2018 al ReI. Questo sotto-finanziamento incide evidentemente pure sulla consistenza del beneficio monetario, appunto sulla sua adeguatezza a rispondere al bisogno e permettere una vita minimamente dignitosa. Secondo i calcoli dell’Istituto di statistica, infatti, una persona della sua età e che abita in un piccolo comune del Sud dovrebbe avere a disposizione 536 euro al mese per poter acquistare un paniere di beni essenziali (affitto della casa, cibo, medicinali, ecc.). Al di sotto di questa soglia, differente per età, numero dei componenti la famiglia e luogo di residenza, si parla appunto di “povertà assoluta”. Ora, l’idea base del ReI è quella di arrivare, in prospettiva, da un lato a coprire interamente la differenza tra il reddito percepito e la soglia di povertà, dall’altro a fornire servizi personalizzati (di formazione, ricollocamento, sanitari e sociali) per favorire l’uscita dalla miseria e una piena integrazione sociale.

L’impianto della legge è molto solido, occorre però una scelta politica forte per finanziarlo in maniera adeguata nei prossimi anni. Quando si ragiona sulla consistenza di un trattamento sociale, inoltre, occorre anche tener conto del livello di altre provvidenze. Ad esempio: l’assegno di invalidità pari a 279 euro per chi non può lavorare o l’assegno sociale – 448 euro al mese – che lei ricorda. E soprattutto la “pensione minima”, cioè l’integrazione del trattamento che viene riconosciuta al pensionato il cui reddito da pensione, sulla base del calcolo dei contributi versati, risulti inferiore ad un livello stabilito per legge, considerato il “minimo vitale”. Per quest’anno l’importo è fissato a 501 euro e nessun Reddito contro la povertà potrà essere superiore al minimo riconosciuto a chi ha lavorato ed effettuato versamenti previdenziali, perché altrimenti verrebbero scoraggiati l’impegno lavorativo e il pagamento dei contributi.

A proposito di previdenza, lei lamenta anche, non senza ragioni, il rapido allungamento dei requisiti anagrafici per l’accesso alla pensione. Non a caso il governo è dovuto ricorrere ai ripari varando uno strumento, come il prestito pensionistico, per permettere un accesso anticipato alla pensione per chi si trova a 3 anni dall’agognato traguardo. Avendo lei 64 anni potrebbe essere il suo caso, nella versione dell’Ape sociale senza oneri, a patto che abbia almeno 30 anni di versamenti. Glielo auguro di cuore e vorrei soprattutto che situazioni reali come la sua fossero ben presenti e pressanti nelle valutazioni di chi è chiamato a decidere delle priorità e dell’utilizzo delle risorse comuni.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI