martedì 10 aprile 2012
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​«Raccontaci Maria, cosa hai visto?». La tomba e la gloria, gli angeli, il sudario e le vesti: e «Cristo mia speranza» che è risorto. Ecco che cosa ho visto, risponde la Maddalena. Mantiene intatta la sua emozione, il concitato dialogo incastonato a sorpresa nell’antica Sequenza pasquale (Victimae paschali laudes). Ha preso le mosse da qui, il tradizionale messaggio di Pasqua del Papa, che precede la benedizione Urbi et Orbi. Ogni cristiano «rivive l’esperienza di Maria di Magdala». Il Risorto ci cambia la vita. Non senza passare attraverso la contraddizione e la prova della lotta tremenda – eppure definitiva – del Crocifisso, dove la Bontà è «sottomessa alla cattiveria», la Verità «derisa dalla menzogna», la Misericordia «ingiuriata dalla vendetta». Mors et Vita duello conflixere mirando, riassume l’antico testo poetico. E la lotta è per la nostra vita. «Gesù è passato attraverso questo intreccio mortale, per aprirci il passaggio verso il Regno della vita». Non sono cose del passato. Molti uomini e donne lo sanno perfettamente: e non dalla televisione, ma nella loro carne e nel loro sangue. Il Risorto non appartiene al passato, ma è presente oggi, vivo. Cristo è speranza e conforto in modo particolare – ha ricordato il Papa – per le comunità cristiane che, in molte parti del mondo, «maggiormente sono provate a causa della fede da discriminazioni e persecuzioni». La nostra insensibilità, così politicamente corretta, è una forma di cecità che consegna molti giusti all’avvilimento. Nell’omelia della Grande Notte, Benedetto XVI aveva percorso la strada della Luce, dalla creazione del mondo alla risurrezione di Gesù. Il punto dialettico era stato individuato proprio nel paradossale effetto di oscuramento – l’abbaglio, appunto – generato dall’uomo che decide di vivere esclusivamente della luce che egli stesso produce. Quest’uomo respinge tutto ciò che è illuminato da Dio come una sciocca illusione, anzi, come un’alienazione pericolosa. Quest’uomo perderà il pungolo della fame e della sete della giustizia, e si troverà privo di misericordia. Diventerà un target vulnerabile per chiunque abbia qualcosa da vendere: e in breve tempo sarà pronto per farsi comprare. Quando la verità di Dio e la differenza del bene e del male ci appaiono retaggi di oscurantismo, siamo pronti per andare a sbattere. «Il buio su Dio e il buio sui valori – ha detto il Papa – sono la vera minaccia per la nostra esistenza e per il mondo in generale». Parlando del simbolo del cero pasquale, il Papa era infine ritornato sul tema, a lui caro, di un nucleo incandescente della fede, da ritrovare. Questa fede vive solo donandosi. «La candela illumina consumando se stessa. Dà luce, dando se stessa». Non c’è fanatismo e violenza, nell’obbedienza della fede cristiana alla luce di Dio: piuttosto, c’è la forza di non lasciare per strada i più deboli, e di portare i pesi gli uni degli altri. Nell’omelia del Giovedì Santo, Benedetto XVI aveva rivolto questo appello in primo luogo ai sacerdoti. In effetti, se questa obbedienza, sigillata nel sangue del Signore, non è più sufficiente a sostenere la loro consegna per «ciò che manca alla passione di Cristo, in favore  del suo corpo, che è la Chiesa» (Col 1, 24), nient’altro lo sarà. E la sua bellezza sarà oscurata per molti, nella Chiesa stessa. La presunzione dell’autoinvestitura, qui, è molto simile all’arroganza della «tanto sbandierata autorealizzazione». La luce non illumina più niente, la fiamma non scalda più nessuno. Basta con gli strilli e l’agitazione, gli uni contro gli altri. Abbracciamo il Corpo del Signore, e consumiamo le nostre migliori energie perché l’intensità del suo amore riscaldi e faccia luce. Impariamo dalle donne della prima ora: l’esperienza di legame speciale con il Signore che esse testimoniano «è fondamentale per la vita concreta della comunità cristiana». Non solo all’inizio. Adesso.
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