sabato 18 gennaio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
«Siamo lieti e orgogliosi di collaborare a un’operazione storica di disarmo. Il popolo e la terra di Calabria saranno parte attiva del processo di distruzione degli ordigni chimici siriani, minaccia per l’umanità, e d’ora in poi solo materiale inerte. Una data destinata a entrare nella storia della nostra Regione». Se i sindaci di Gioia Tauro, Rosarno e San Ferdinando, il presidente calabrese e quello della Provincia avessero reagito in questo modo all’annuncio del fugace passaggio sul suolo italiano delle armi chimiche consegnate da Assad, in un Paese "normale" quei toni enfatici sarebbero stato considerati un evidente eccesso di retorica a scopi politici, una palese attribuzione di meriti inesistenti. Tutta quella grancassa per un semplice scarico e carico quasi privo di pericoli? Quanto ci sarebbe piaciuto commentare bonariamente in quel modo la vicenda. Siamo invece di fronte alle minacce di blocco del porto, di occupazione delle banchine, di rivolta popolare «contro Roma». «Scelta scellerata»; «non voglio schifezze sul mio territorio», «rischio di guerra civile», alcune delle "concilianti" dichiarazioni rilasciate dagli amministratori locali. Che poi, magari, rettificheranno e, lo vogliamo sperare, contribuiranno a svelenire (è il caso di dirlo) il clima. E favoriranno il tranquillo svolgimento della procedura di trasferimento dei 60 container (anche se le iniziative annunciate ieri vanno in direzione contraria).Potrà giovare alla serenità degli animi ricordare che ogni anno nel porto di Gioia Tauro transitano circa 30mila tonnellate di sostanze che hanno lo stesso livello di pericolosità attribuito alle 560 tonnellate di agenti tossici provenienti dal teatro di guerra siriano. E nel complesso degli scali italiani, ha riferito il ministro Lupi, se ne movimentano 74mila tonnellate. Lo stesso governo ha dato ampie rassicurazioni, sia sulla sicurezza generale sia sull’adeguatezza della attrezzature disponili. I rischi per gli addetti – ammesso che ad agire non sia lo stesso equipaggio della nave americana che prenderà a bordo le armi per lo smaltimento – e per la popolazione locale sono ridotti al minimo. Non più alti, comunque, di quelli che in tutti gli altri giorni potenzialmente sono presenti con il traffico merci ordinario. Perché, viene da chiedersi, i sindaci che spesso non riescono a difendere l’affidamento delle opere e la gestione dei servizi legati alle infrastrutture dalle infiltrazioni mafiose si mobilitano come un sol uomo per una minaccia che è solo emotiva, frutto di una cattiva informazione e di un riflesso difensivo immotivato? Al di là delle classiche spiegazioni che chiamano in causa i piccoli egoismi localistici, quelli del "dovunque ma non nel mio giardino", capaci di bloccare le opere di utilità pubblica, siano inceneritori o centrali energetiche, in questo caso sembra emergere anche un altro meccanismo di natura più politica.Amministratori che frequentemente hanno difficoltà nel rispondere alle legittime esigenze dei loro elettori possono costruirsi obiettivi polemici a buon mercato, utili a distrarre l’opinione pubblico da altri problemi urgenti o cronici che non si sa come affrontare. Creare un "nemico" di comodo, ingigantire un allarme pretestuoso dà modo di costruire uno scenario in cui si segue la gente nei suoi timori istintivi. Così cresce la percezione di una minaccia e ci si appella ai governanti affinché quella minaccia sia allontanata. A quel punto gli stessi incendiari possono diventare pompieri, spegnere il rogo da loro stessi appiccato e guadagnarsi il merito del pericolo sventato. Non sarà stata il frutto di un siffatto studiato e cinico calcolo la levata di scudi di questi giorni, ma è impossibile non vedere in essa una mancanza di senso di responsabilità unita a una preminenza per l’interesse particolare e di corto respiro. Se la nave danese con le armi chimiche di Assad non dovesse attraccare nel porto di Gioia Tauro, sarebbe in primo luogo una sconfitta per la Calabria, oltre che per l’Italia intera. E non un successo di chi si erge a difensore dei suoi concittadini (o dei suoi colleghi di lavoro o dei suoi vicini di casa...). La distruzione dell’arsenale di Damasco è davvero un piccolo e significativo passo per la comunità internazionale e anche per la pace nella martoriata Siria. Collaborarvi, con consapevole e saggia prudenza, è semplicemente un dovere.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: