Omofobia, diritto penale e antropologia
martedì 7 luglio 2020

Sono anch’io sostanzialmente d’accordo con chi ritiene che quanto previsto dalla cosiddetta legge contro l’omotransfobia, che dovrebbe essere discussa dalla Camera a partire dal prossimo 27 luglio, non solo sia sostanzialmente inutile, dato che reprimerebbe, ove trasformata in norma penale, condotte che già sono ampiamente sanzionabili a partire dalle legislazione vigente, ma anche pericolosa, perché potrebbe favorire interpretazioni arbitrariamente estensive e quindi potenzialmente lesive della libertà di manifestazione del pensiero. La Presidenza della Conferenza episcopale italiana lo ha sottolineato con efficacia. E la presentazione del testo unificato da parte del relatore Alessandro Zan non ha dissolto – come lui stesso aveva garantito in un’intervista ad 'Avvenire' («Rispettiamo le idee») – dubbi e allarmi. Anzi, li ha consolidati. Ha, poi, perfettamente ragione Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, a rilevare, nell’intervista pubblicata ancora su queste pagine il 3 luglio scorso («È meglio un’aggravante valida per tutti») che basterebbe introdurre nel codice penale una specifica aggravante per tutti i comportamenti criminosi volti a istigare violenza e discriminazioni lesive della dignità umana per gestire con maggior efficacia e intelligenza il tema dell’omotransfobia.

Ciò non toglie che il cuore della questione non sia quello legislativo e che sia inutilmente defatigante questo nuovo confronto, che divide, da ormai troppo tempo, laici e cattolici e che oggi arriva a scuotere e mobilitare anche il mondo femminista. Come tutti intuiscono, coloro che sostengono la nuova proposta di legge non vogliono, ovviamente, mandare in galera più persone di quante attualmente non ce ne siano, ma affermare, per via legislativa, un principio antropologico molto complesso e controverso, quello secondo il quale l’omosessualità e la transessualità, e forme di 'parafilia' (per usare un termine molto in voga oggi tra gli psicologi) quali il travestitismo, e temi a questi connessi, come la rivendicazione dell’omogenitorialità debbano ottenere un riconoscimento non solo sociale, ma giuridico, come mere 'varianti' delle pulsioni sessuali e identitarie umane (e questo spiega perché nel progetto di legge in questione sia presente la proposta di istituire una Giornata nazionale contro l’omotransfobia).

Di contro, coloro che si oppongono alla nuova possibile normativa lo fanno nella convinzione che questo riconoscimento e banalizzazione non solo siano epistemologicamente errati, ma anche che possano alterare l’ordine sociale, che avrebbe piuttosto bisogno che si rafforzassero i fondamenti della famiglia eterosessuale, monogamica e aperta alla procreazione naturale, così ben delineata dalla nostra Costituzione.

Come evolverà nei prossimi anni questi confronto è difficile a prevedersi: esso sarà certamente e decisivamente influenzato da dinamiche sociali, come il crollo demografico dell’Occidente, che dipendono solo in parte da apriori ideologici, ma da ulteriori e molteplici fattori, economici e politici, che sono ben lontani dal trovare convergenze interpretative negli studiosi di scienze sociali.


Quello che comunque non andrebbe ammesso in nessun modo è portare una questione antropologica di così grande rilievo come la sessualità su di un piano politico-legislativo, quasi che potesse davvero spettare alla legge determinare cornici e confini entro i quali attivare, legittimare o condannare questioni così rilevanti di etica pubblica.

È questo l’errore in cui cadono molti bioeticisti, quando ritengono che la biogiuridica (cioè la determinazione di vincoli legali per le più rilevanti questioni bioetiche) debba essere lo sbocco fisiologico della bioetica o, più in generale, coloro che ritengono che l’istituzione di 'feste nazionali ' e di 'giornate della memoria' o l’erezione di retorici monumenti nelle nostre città possano davvero incidere sul giudizio storico, positivo o negativo, in merito a eventi del passato o anche del presente (quali, ad esempio, guerre, rivoluzioni, scoperte e invenzioni, catastrofi, ecc.) che andrebbero piuttosto sottratti a giudizi frettolosamente ideologici e quasi sempre deformati emotivamente.

Sia che il cosiddetto ddl Zan venga trasformato in legge, sia che venga respinto o anche profondamente emendato, ne segue che resterà come punto fermo il carattere ancora assolutamente aperto del nodo antropologico della sessualità e delle sue pretese 'varianti' e l’assoluta ingenuità della pretesa di definire 'legalmente' tale nodo. Se i nostri parlamentari capissero bene e fino in fondo questo aspetto della questione cesserebbero di accapigliarsi, per concentrare la loro attenzione su quello che è il loro specifico compito, la determinazione legislativa non di astratti paradigmi antropologici, ma del concreto bene comune dei cittadini.

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