Chi sono e che cosa ci dicono i nostri emigrati all'estero
domenica 16 giugno 2019

«L’attualità di un impegno nuovo » dice il titolo del convegno che si conclude oggi a Caltagirone e che ha celebrato il centenario dell’appello 'Ai liberi e forti' di don Luigi Sturzo. Tra i temi che connettono il manifesto politico sturziano con il nostro tempo compaiono anche i fenomeni migratori. Allora si trattava di tutelare e promuovere l’emigrazione italiana nel mondo, oggi di gestire una mobilità internazionale che comprende non solo l’arrivo di immigrati stranieri nel nostro Paese (perlopiù – nonostante la narrativa politico-mediatica dominante – donne, europei e di tradizione cristiana), ma anche nuove emigrazioni dall’Italia verso l’estero. Il flusso in uscita in realtà non si è mai del tutto interrotto, ma ha assunto nuova lena con la crisi economica iniziata nel 2008 e si è rafforzato negli ultimi anni.

Nel 2017 si sono registrate oltre 243mila iscrizioni all’Aire, ovvero all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Fondazione Migrantes): un dato boom forse per le elezioni, ma probabilmente sottodimensionato, giacché molti italiani espatriati non si registrano ufficialmente. Molti nuovi emigranti praticano forme di mobilità circolatoria, escono e rientrano, o comunque per varie ragioni non si iscrivono presso i nostri consolati. I nuovi emigranti non vengono più prevalentemente dal Mezzogiorno, ma da tutte le regioni italiane. Un po’ a sorpresa la prima regione di provenienza è la Lombardia (33.658), seguita dal Veneto (23.657), mentre la Sicilia figura soltanto al terzo posto (22.086). La prima provincia, anch’essa inattesa, è invece Genova, con 15.375 nuovi registrati all’Aire, seguita da Roma (11.663) e da Milano (10.162). Partono non solo individui, ma anche famiglie, come agli inizi del Novecento. Tra i nuovi iscritti all’Aire quasi un terzo (32,9%) sono minorenni, pochissimi sono gli anziani (6,6% sopra i 65 anni), gli altri appartengono alla popolazione in età lavorativa (Idos 2018).

Si insiste molto i sui cervelli in fuga, ma questa immagine fotografa solo parzialmente il profilo personale e le destinazioni occupazionali dei nuovi emigranti. È certamente vero che gli espatriati non sono più soltanto lavoratori manuali, e che molti italiani all’estero hanno intrapreso brillanti carriere nella ricerca, nella finanza, nella sanità e in altri campi, ma la popolazione in movimento con competenze medio-basse è cospicua. Per molti altri, forse la metà, invece non è così. Anche molti giovani italiani, come gli immigrati che arrivano in Italia, incontrano problemi di sovraqualificazione quando si spostano all’estero: cioè, trovano spesso lavori inferiori ai loro livelli di istruzione e alle loro competenze. Non pochi fra loro quindi affrontano traiettorie professionali abbastanza simili a quelle degli immigrati in Italia, sebbene nutrite da motivazioni più variegate: accettano una discesa sociale, inserendosi in occupazioni scarsamente qualificate, nella speranza di una successiva promozione. Spesso gli italiani emigrati sottolineano il dinamismo e la mobilità professionale di mercati più aperti, e i casi di successo, occorre ribadirlo, non mancano. Molti alla speranza di una carriera aggiungono l’idea di un’esperienza di vita, della conoscenza di mondi diversi, della possibilità di imparare o perfezionare una lingua straniera.

Forse anche per loro, come per gli immigrati stranieri in Italia, accettare un lavoro manuale lontano da casa è meno disturbante per l’autostima e l’identità sociale che svolgerlo nei luoghi in cui sono conosciuti e socialmente inseriti. C’è però una differenza: gli emigranti italiani sono sorretti da una cittadinanza forte, nell’Unione Europea godono di diritti parificati con quelli dei cittadini nazionali, si sono scrollati di dosso quasi del tutto gli antichi pregiudizi e le odiose discriminazioni che al tempo di don Sturzo li colpivano. I loro compagni di destino in Italia non ancora. Fare memoria dell’emigrazione di ieri e avere consapevolezza di quella di oggi dovrebbe incitarci ad assumere uno sguardo diverso verso l’immigrazione che ha scelto l’Italia come la terra in cui costruire il proprio futuro.

Sociologo, Università di Milano e Cnel

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