Chi non vuole un solo tetto ma 27 per il condominio Europa?
sabato 9 aprile 2022

Giornalisti e politici (tanti, in questi giorni) che detestano le 'complessità' non vogliono sentirlo dire, ma la questione della spesa per armamenti è un po’ più complicata di quanto si creda. Mentre per i conservatori questa spesa non è mai stata un problema, essa lo è per il pensiero cristiano (cattolico e non solo) e lo è a lungo stata per i progressisti, però con una netta distinzione tra pensiero marxista e pensiero liberaldemocratico.

Per Friedrich Engels e Rosa Luxemburg, come la società di classe porta in sé la guerra, così la produzione di armamenti costituisce un ulteriore campo di accumulazione del capitale, lucroso per i singoli capitalisti e irrinunciabile per il sistema. Nel pensiero liberal, invece, la spesa militare in genere e quella per armamenti in particolare rappresentano un aggravio, rinunciando al quale (sosteneva, ad esempio, John Kenneth Galbraith) si risparmierebbero risorse preziose da investire altrove.

Con tutta probabilità l’interpretazione più plausibile è che spendere miliardi di dollari (2.000 a livello mondiale nel 2020) è la via, non obbligata ma più facile, per mantenere alta la domanda in periodi di congiuntura sfavorevole. Una sorta di moltiplicatore keynesiano, insomma, con la differenza che la spesa pubblica non finanzierebbe «buche» o «messe a Westminster » come diceva l’economista inglese, bensì ricerca, sviluppo e produzione di tecnologie altamente avanzate. Pazienza per la particolare natura dei prodotti, si tratti di aerei stealth da 100 milioni di euro l’uno, di missili ipersonici o di applicazioni di intelligenza artificiale per un campo di battaglia dove combatteranno tra loro sistemi d’arma completamente autonomi (giornalisticamente detti «robot killer»).

Quale che sia l’interpretazione prescelta, un dato resta indiscutibile in termini di politiche pubbliche. I soldi per portare al 2% del Pil il bilancio della Difesa del nostro Paese, bisognerà pur prenderli da qualche parte. Negli anni Settanta del secolo scorso un piuttosto noto professore di Chicago di nome Milton Friedman ha inaugurato una nuova egemonia del liberismo, in grado di dominare nei successivi decenni la teoria e la pratica economica dell’Occidente. È suo il brillante aforisma: «Non esistono pasti gratis». Ciò significa che se lo Stato deve finanziare il benessere dei cittadini meno abbienti, tutto questo rappresenta un onere. Qualcuno, cioè i cittadini capienti, dovrà pagarlo con le tasse e il ricavato verrà destinato a questo piuttosto che ad altri scopi, magari più interessanti per i contribuenti.

Lo slogan dei 'Chicago boys' si applica altrettanto bene alle spese militari. Sorprende che sul 'Corriere della sera' del 27 marzo a un attento studioso dello Stato sociale come Maurizio Ferrera sfugga il dato che – anche mettendo tra parentesi le valutazioni politiche – un incremento della spesa militare dello 0,5% del Pil, stimato tra i 10 e i 12 miliardi di euro, non potrà che avvenire a scapito di altre voci della spesa pubblica. Una semplice analisi costo- opportunità conferma che, a fronte della presumibile parità di gettito fiscale e della sostanziale incomprimibilità delle spese di funzionamento dell’amministrazione pubblica, questa ingente mole di risorse non potrà che essere sottratta alla spesa per il Welfare, cioè soprattutto alle due voci di spesa più importanti, la sanità e l’istruzione.

Il tutto senza che venga impostato un serio confronto sulle lezioni di questi già drammatici anni Venti del XXI secolo. L’emergenza pandemica viene frettolosamente archiviata, così come lo è quella climatica, accomunate nel consueto disinteresse per i danni provocati dai pericoli (naturali) e dai rischi (cui abbiamo contribuito con le nostre decisioni). Al contrario, la maggiore attenzione e le più ampie risorse vengono dedicate alle minacce di ordine strategico, cioè ai danni attuali o potenziali dovuti all’intenzione negativa di altri (oggi la Russia di Putin, domani...)

Solo un pacifismo assoluto, e quindi irrazionale, può escludere che una società sia esposta a minacce e dunque che essa non se ne debba difendere. Il punto è affrontare la questione della difesa non nel modo impulsivo o dogmatico proprio dei momenti di emergenza, bensì con metodo nelle analisi ed equilibrio delle soluzioni. Se l’Italia e l’Europa hanno l’obiettivo di una difesa comune di quello «spazio di libertà, sicurezza e giustizia» previsto dai suoi Trattati, è necessario rispondere ad alcune domande. È logico cominciare dal dire che si spende troppo poco per la difesa e si deve spendere di più, oppure è logico cominciare dal dire quali devono essere gli obiettivi politici di questa spesa? Il confronto è di competenza unicamente dei poteri esecutivi o piuttosto deve coinvolgere a fondo le istituzioni rappresentative come i Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo, e comprendere attraverso i media, le comunità scientifiche e i cittadini?

Naturalmente su questi temi (che non sono gli unici difficili in materia di decisioni pubbliche) coinvolgere i cittadini a livello nazionale ed europeo richiede trasparenza, competenza, tempo e sedi opportune. Si apra un confronto serio dibattito. Si dimostri perché siano insufficienti oltre 300 miliardi di dollari che nel 2020 hanno collocato l’Unione Europea al secondo-terzo posto nel mondo per spese militari, dopo gli Stati Uniti, testa a testa con la Cina e circa tre volte di più della Russia. Si argomenti per quale motivo sia preferibile che queste imponenti risorse siano disperse in 27 bilanci della difesa distinti e autonomi l’uno dall’altro. Si verifichi se sia fondata la pretesa dei 27 Paesi dell’Unione di mantenere ciascuno la piena autosufficienza e completezza delle molteplici funzioni militari (terrestri, aeree, navali), anziché un bilancio unico articolato per specializzazioni funzionali tra i vari Paesi della Ue, nella grande maggioranza aderenti anche alla Nato.

In definitiva, si dimostri sulla base di quali valutazioni e di quali calcoli il tetto di un unico condominio di 27 appartamenti debba, a parità di superficie coperta, costare di più dei 27 tetti di altrettante case unifamiliari.

Sociologo, presidente di Archivio Disarmo

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