Popolo in cammino dei migranti e politiche inadeguate
venerdì 14 luglio 2017

In questi giorni assistiamo all’ennesimo confronto sulle migrazioni e non si può non rimanere ancora una volta basiti di fronte alla presa di posizione di alcuni Paesi, di alcuni politici che in modo chiaramente strumentale, a caccia di voti, dichiarano di voler spostare soldati e armate come se si giocasse a Risiko e l’obiettivo da raggiungere fosse l’egemonia di un’Europa sempre più chiusa e solitaria sul resto del mondo. Il vertice informale di Tallinn, la riunione di Varsavia, al pari degli ultimi vertici Ue sul tema delle migrazioni mostrano, sopra ogni cosa, una grave incapacità degli Stati di essere Unione.

Nel nostro Paese, da ogni parte politica giungono affermazioni fatte a cuor leggero usando parole come 'emergenza' e 'invasione' in modo irresponsabile e senza tener conto degli effetti sulla percezione dell’opinione pubblica e ancor più grave sulla vita delle persone. Risulta chiaro ed evidente, purtroppo, che manca coraggio, sapienza e umanità per affrontare un fenomeno che esiste dai tempi dei tempi, strutturale, non emergenziale, mai imprevedibile, perché da sempre conseguenza ovvia di guerre, sopraffazioni e sfruttamento. Già nell’Antico Testamento l’umanità si mette in cammino.

'Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze' (Esodo 3,7) Noi che non riusciamo più a sentire il grido della miseria e dell’ingiustizia, lo stridore della guerra, l’iniquo rumore delle armi, dobbiamo invece conoscere le sofferenza dei migranti, il popolo in cammino, così simile al popolo d’Egitto che affronta il suo Esodo per trovare la libertà. Sapere chi sono coloro che tentano di giungere in Europa o che rimangono bloccati in una Libia insicura, conoscere da cosa scappano e quante sono le vittime incolpevoli di guerre e conflitti è fondamentale per far sussultare le coscienze assuefatte e sempre più corresponsabilmente silenziose.

La nostra Europa, che mostra il volto che gli Stati membri compongono, assume sempre più i connotati di quel faraone che non vuol far partire il popolo di Israele, che in modo gretto gestisce la libertà di persone e di popoli come se fossero oggetti al servizio del proprio interesse. 'Il faraone rispose: ... non lascerò certo partire Israele!' (Esodo 5,2). Ora come allora, c’è un potere che si chiude nel proprio interesse e non sa vedere nella libertà e nella felicità per un popolo in fuga dall’ingiustizia, l’orizzonte di un futuro più giusto per tutti. Si definiscono 'buoni', risultati minimi ed equivoci (maggiori controlli in Libia e nei Paesi del Sahel, codice di comportamento per Ong e facilitazioni nei rimpatri) che sono invece solo la giustificazione cinica di politiche non adeguate e sistematicamente amputate delle parte costruttiva dell’aiuto allo sviluppo umano ed economico. Come ha ripetuto ieri il segretario generale della Cei, il vescovo Nunzio Galantino, non basta dire «aiutiamoli a casa loro». Non basterà finché questo «aiuto», che è tale solo se volto alla piena promozione della dignità umana e alla solidarietà, resterà uno slogan, mattone tra i mattoni dei 'muri' del rifiuto e dello scarto. Ma l’umanità non si arresta. E il popolo che è in cammino non si fermerà nonostante le attuali, grette inazioni politiche europee, e continuerà a raggiungere la propria terra promessa. Ora come allora, il faraone sarà sconfitto, ma nessuno può far finta di non vedere che, intanto, oggi, il mare non travolge «cavalli e cavalieri», ma poveri migranti che muoiono solo per il diritto di avere diritti.

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