giovedì 29 febbraio 2024
Aveva 92 anni. È morto ieri, con accanto i figli Arturo, anche lui giornalista di "Avvenire", e Alessandra, musicista. Raccontò i terribili anni di piombo con precisione, profondità e anche leggerezza
Virgilio Celletti

Virgilio Celletti - A.C.

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Se n'è andato "il maestro". Perché tale era Virgilio Celletti, grande cronista e capo della cronaca di Roma di Avvenire. Maestro di giornalismo e maestro di vita. Così lo ricordano tutti ora che, a 92 anni di vita pienamente vissuta, è salito al Cielo nella serata di mercoledì, con accanto i figli Arturo, giornalista di Avvenire, e Alessandra, musicista.

Io l’ho sempre considerato il mio maestro, fin dal 1981, quando cominciò a farmi scrivere sulle pagine che allora Avvenire dedicava alla Capitale. “Toni Mi’”, mi chiamava, mandandomi poi in giro per la città e per la regione a raccogliere notizie per poi raccontarle. Quello fu il primo insegnamento del “maestro”, poca redazione e molta strada, consumando la suola delle scarpe, spesso in mezzo all’ambiente che Virgilio tanto amava, capendo, da cronista vero, che quello era un tema che bisognava raccontare. Coi fatti. E con le foto. Anche promuovendo battaglie. E quanto insisteva perché, dopo un primo articolo, poi insistessi.

Già, cronista vero. Quanta prima linea aveva macinato negli anni. Prima al Quotidiano e poi ad Avvenire. Criminalità, terrorismo. Soprattutto quest’ultimo raccontando i terribili “anni di piombo”. Con precisione, profondità, ma anche leggerezza, altra caratteristica del suo carattere. Scherzando su se stesso, sulla sua straordinaria somiglianza con Giovanni Senzani, uno dei capi delle Brigate rosse, che lo portò addirittura, una volta, ad essere fermato dalla polizia.

E amava raccontare più volte, come fanno i bambini, il suo incontro faccia a faccia col brigatista. «Mi guardava come per capire se ero uno specchio». Un gran raccontatore Virgilio e non solo nei suoi articoli. Nella stanza della cronaca la sua voce era in perenne movimento: battute (le sue barzellette e le sue mitiche litanie un po’goliardiche), citazioni dotte, e tanta musica. Musicista lui stesso, flauto soprattutto, critico musicale (anche dopo la pensione), appassionato di sinfonica e operistica, ma anche di jazz e curioso di quella più moderna. In piena redazione attaccava qualche brano di sinfonie o concerti, mettendomi alla prova e chiedendomi cosa fosse.

E come era contento se ci azzeccavo e, ancor di più, se lo accompagnavo, molto meno bravo di lui. Era davvero un piacere lavorare per e con lui, in quella stanza fumosa e produttiva. I dialoghi/scontro col collega Giorgio Manelli, gli improvvisi ricordi che ci voleva raccontare e non potevamo evitare. E poi soprattutto i consigli, non imposizioni, quell’affiancamento di noi giovani cronisti che tanto manca nelle redazioni di oggi. Senza mai prendersi troppo sul serio, malgrado la sua esperienza. Come alcuni ricordati ieri dal collega Danilo Paolini. Ha tirato un rigore a Zoff, ha riaccompagnato in albergo Louis Armstrong dopo un concerto a Roma, ha rifiutato una sigaretta offerta da Chet Baker «perché avevo paura che dentro ci fosse la droga».

Grande cultura e levità. Così ogni giorno, più o meno all’ora di cena, mi provocava. «Toni Mi’ stasera che ci mangiamo? Io mi farei…», e giù con una ricetta, precisa, completa, da farci leccare i baffi. Scherzava, giocava Virgilio. Ma mai superficiale, mai presuntuoso della sua bravura, anche quando non veniva riconosciuta. Così, quando venne chiusa la cronaca di Roma, pur nominato vice capo della redazione romana, riprese a scrivere, soprattutto della sua amatissima musica. Sempre a servizio del giornale, con umiltà. Come quando, nel periodo in cui ero stato “prestato” a RomaSette, le pagine diocesane romane, mi chiese quasi timidamente, lui che era stato il mio “capo”, se potevo provare a far scrivere il figlio Arturo. Chiedendomi, poi, successivamente, come stesse andando. Il “maestro” che chiede all’”allievo”. Un gesto che spiega bene chi fosse.

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