mercoledì 14 giugno 2017
E sulla questione dell’“equità” della misura, questa era la tesi dell’associazione dei proprietari di immobili ma non dei politici. L’obiettivo di legge era altro
«Cedolare, da dimostrare il mancato gettito». Ma lo dice il Tesoro
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Gentile direttore,
nell’articolo del 2 giugno del suo collega Pietro Saccò, “Avvenire” si occupa con grande risalto di cedolare secca sugli affitti, la tassazione sostitutiva dei redditi da locazione in vigore, dal 2011, per le sole abitazioni. E lo fa partendo da alcune stime dell’Agenzia delle entrate e del Dipartimento delle Finanze, alle quali aggiunge qualche opinione dell’autore. Ad “Avvenire” – ma anche a coloro che hanno realizzato il rapporto sul quale l’articolo si fonda (“Gli immobili in Italia”) – mi permetto di segnalare alcune questioni. La tesi secondo la quale il Fisco italiano avrebbe perso due miliardi di gettito con la cedolare non è dimostrata: si basa su simulazioni anziché su dati (basti pensare che non considera, come evidenziato nello stesso rapporto, un terzo degli immobili locati) e comunque non fornisce spiegazioni dei calcoli effettuati. “Il Sole 24Ore” ha scritto cose ben diverse anche di recente, sulla base di ragionamenti attendibili. In ogni caso, anche qualora il dato sulla perdita di gettito fosse vero, l’articolo e il rapporto dimenticano alcuni non trascurabili elementi. 1) L’introduzione della cedolare secca sugli affitti, che una parte della politica ha motivato con il solo obiettivo dell’emersione del “nero”, si imponeva in realtà per ragioni di equità. Quello che l’articolista definisce «regalo ai ricchi» e alle loro «rendite immobiliari» è una modalità di tassazione che riduce (non elimina) la discriminazione fiscale fra tipi di investimento. Chi impiega i propri risparmi in strumenti finanziari (comprando direttamente azioni, ad esempio) viene tassato solo se guadagna, con un’aliquota proporzionale. Chi investe in immobili – oltre a dover sopportare le spese di gestione, manutenzione, rischio morosità e sfitto ecc. – viene tassato già per il solo fatto di possedere il bene (Imu-Tasi) e, in più, fino al 2011 si vedeva colpito il canone con le aliquote Irpef, che arrivano ad oltre il 40% (stortura che è rimasta per l’affitto di negozi, uffici, box ecc.). La cedolare ha attenuato questa evidente discriminazione, prevedendo un’aliquota fissa per l’imposizione reddituale (ma non eliminando quella patrimoniale, e quindi mantenendo il trattamento deteriore dell’investimento immobiliare rispetto a quello mobiliare): definire tutto ciò un «regalo» è piuttosto curioso. 2) Nello stesso anno in cui è stata istituita la cedolare, è stata introdotta anche l’Imu, che ha quasi triplicato la tassazione patrimoniale sugli immobili e che, nel caso delle abitazioni affittate “a canone concordato”, ha portato in molte città a una quadruplicazione del carico fiscale. Se si riduce l’imposta reddituale e si aumenta quella patrimoniale, è normale attendersi che la prima operazione venga annullata dalla seconda. Ci sarebbe molto altro da dire, ma forse può bastare questo. Con i migliori saluti.

Giorgio Spaziani Testa presidente di Confedilizia

Rispondo volentieri, su richiesta del direttore, alle precisazioni dell’avvocato Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, anche perché offrono lo spunto per aggiungere alcuni elementi alla questione più generale della tassazione sulla casa e a quella specifica dei risultati fiscali della cedolare secca, a cui 'Avvenire' ha dato ampio risalto. Non so a quali «ragionamenti attendibili» pubblicati dal 'Sole 24 Ore' faccia riferimento Confedilizia, ma con tutto il rispetto per la serietà e la competenza dei colleghi di quel giornale mi sembra scontato che i tecnici del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e quelli dell’Agenzia delle Entrate abbiano sufficienti elementi – oltre che la capacità e l’autorevolezza – per fornire le stime più attendibili sugli effetti che l’introduzione della cedolare secca ha avuto sulle entrate dell’Erario. Tra l’altro l’indagine 'Gli immobili in Italia' offre diversi dettagli sul metodo utilizzato per arrivare a quella cifra. Ad esempio gli 'immobili non considerati', che diversamente da quando scrive Spaziani Testa non rappresentano un terzo ma meno di un quarto di quelli su cui si pagava la cedolare secca nel 2013, sono in buona misura appartamenti nuovi o che hanno cambiato proprietario tra il 2010 e il 2013 e che quindi difficilmente possono essere considerati immobili 'emersi' dal nero. In ogni caso, se le cifre non la convincono Confedilizia può chiedere maggiori dettagli metodologici direttamente al ministero dell’Economia. Capisco, poi, che l’associazione dei proprietari di immobili veda nella cedolare secca una norma che porta 'equità' di tassazione tra investimenti. E del resto su queste colonne non si è mai difeso lo squilibrio nel trattamento fiscale della tassazione sulle rendite mobiliari e immobiliari (chiediamo piuttosto, da anni e anni, un serio riequilibrio tra la tassazione di ogni rendita e il carico fiscale su lavoro e produzione di beni e servizi). Penso anche che, quando sostiene che una maggiore 'equità' fosse il senso della legge, Confedilizia sostituisce le sue aspirazioni alla realtà: nel dibattito di allora non risulta nessuna dichiarazione di alcun esponente politico che facesse della cedolare una questione di equità. L’associazione dei proprietari di immobili era isolata nel sostenere questa tesi. E la realtà dice che, con la tassazione, lo Stato indirizza anche i risparmi verso ciò che ritiene positivo per l’intera cittadinanza e – diversamente per esempio dagli investimenti su una piccola o media impresa favoriti dai nuovi Pir – l’acquisto di appartamenti da mettere a rendita difficilmente può essere considerata una di quelle attività che migliorano il benessere della popolazione. Difatti ancora lo scorso maggio la Commissione europea ha suggerito all’Italia di spostare parte del carico fiscale dai fattori produttivi alle imposte sulla casa, definite «meno penalizzanti per la crescita». Un invito ribadito nemmeno una settimana fa dall’Ocse, che ne fa proprio una questione di equità. Anche questi sono dati di fatto, rispetto ai quali si può obiettare e, in effetti, non pochi proprietari di casa legittimamente lo fanno. Ma il presidente di Confedilizia ricorderà certamente che le misure sulla tassazione degli immobili hanno fatto parte della dolorosa manovra varata d’urgenza dal governo Monti il 6 dicembre del 2011, in un contesto drammatico in cui l’Italia era a un passo dall’uscita dall’Unione monetaria europea. Un esercizio non del tutto inutile, che Confedilizia potrebbe proporre con adeguate simulazioni, sarebbe quello di calcolare quanto potrebbe valere oggi il patrimonio immobiliare degli italiani se sette anni fa fossimo tornati alle vecchie lire. Ciò detto, speriamo che, per il concorde impegno e per l’onestà fiscale degli italiani, venga presto il tempo in cui ogni tipo tassazione possa diventare più lieve. Cordialmente.

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