Carrefour e non solo: disegno criminale di sfruttamento
lunedì 15 aprile 2024

«Sistematico sfruttamento dei lavoratori». Le parole del Pubblico ministero Paolo Storari sono nette nel descrivere l’utilizzo, da parte del gruppo Gs-Carrefour, dei cosiddetti «serbatoi di manodopera», false cooperative e società schermo utili a sottopagare il personale della logistica, non versare interamente i contributi sociali dovuti ed evadere il fisco grazie anche a un «fraudolento giro di fatture false».

Accuse emerse ieri con il provvedimento di sequestro preventivo di 64 milioni di euro ai danni del gruppo leader della Grande distribuzione organizzata. Contestazioni che, pur nella presunzione d’innocenza per la condotta della società e dei suoi manager, purtroppo non suonano affatto nuove. Anzi, confermano la diffusione di un comune schema di comportamento da parte dei grandi gruppi. Questa della Procura di Milano, infatti, è l’ennesima inchiesta sullo stesso filone che ha visto già indagate – e sanzionate – tra le altre Fiera Milano, Uber, Tnt, Dhl, Gls, Brt, Ups, Geodis, cioè i colossi della logistica italiana e internazionale e quelli della grande distribuzione come Lidl ed Esselunga che, con diversi gradi di responsabilità, hanno largamente utilizzato società che sono semplici serbatoi di braccia umane, di lavoratori da impiegare a condizioni peggiori in termini di orari, salari e diritti rispetto ai dipendenti diretti delle aziende presso cui vengono illegalmente “somministrati”. Cooperative e Srl che sono utili pure per emettere fatture, spesso false o gonfiate, tali da assicurare ai committenti indebiti risparmi fiscali.

L'insegna di un supermercato Carrefour

L'insegna di un supermercato Carrefour - Fotogramma

Di fatto parliamo di un medesimo meccanismo che fa leva sui soggetti più deboli della filiera di produzione - lavoratori, stranieri ma non solo, costretti ad accettare qualsiasi remunerazione e condizione di lavoro pur di non restare disoccupati - finalizzato a garantire indebiti guadagni alle grandi società, grazie ad enormi risparmi sul costo del lavoro e all’elusione dei doveri fiscali. Un piano economico che dobbiamo quindi iniziare a definire con l’aggettivo adeguato: criminale. Anche perché spesso alle peggiori condizioni economiche si accompagnano anche l’insicurezza e i danni alla salute dei lavoratori, come testimoniano gli ultimi casi delle catene di subappalti dei prodotti di moda di Alviero Martini e Giorgio Armani.

Da tempo, dunque, il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori non è più confinato ai piccoli proprietari terrieri del Sud o alle piattaforme di delivery, ma vede come protagonisti negativi i grandi nomi internazionali di interi settori economici. Coinvolge le proprietà, i vertici e i manager di queste grandi società che non possono più trincerarsi dietro il “non sapevamo”. Perché queste pratiche sono nient’altro che l’applicazione di un modello economico teso a massimizzare il risultato economico purchessia, a privilegiare la remunerazione del capitale e degli azionisti, in definitiva la creazione di valore finanziario a scapito del rispetto dei valori etici.

La politica è chiamata a riflettere su come migliorare le leggi sui subappalti di lavorazioni e manodopera, per evitare che vengano troppo facilmente eluse e i sindacati a vigilare sulle esternalizzazioni. Ma è soprattutto dagli imprenditori e dal management a tutti i livelli che ci si attende un riscatto morale. Prima ancora che sia una legge o una direttiva europea ad obbligarli.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI