venerdì 13 agosto 2010
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Ben Bernanke, governatore della Riserva Federale americana, ha definito la Grande Depressione degli anni ’30 del Novecento come «il Santo Graal degli economisti». Riferendosi, con ciò, al fatto che, nonostante la quantità delle ricerche (incluse le sue), un reale consenso sulle cause che originarono quella crisi non è stato ancora ottenuto. Va aggiunto tuttavia che quel decennio si caratterizzò anche per il coraggio e la fantasia nel promuovere nuove regole, organizzazioni ed esperienze sociali di cui proprio gli Stati Uniti di Roosevelt furono il laboratorio. Ciò non impedì il precipitare nella seconda guerra mondiale, ma non si deve dimenticare che quelle innovazioni sociali hanno costituito il fondamento della straordinaria ripresa economica mondiale che seguì poi. Così come, a parere di molti analisti, l’eliminazione di alcune di quelle regole ha favorito l’emergere della crisi attuale.La Grande Recessione è in corso da quasi tre anni e se, da un lato, già si prefigura come motivo di controversia sulle sue stesse cause, dall’altro ha assunto una dimensione epocale, tale da modificare le convinzioni acquisite e richiedere – come scrive Benedetto XVI nella Caritas in veritate – «una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e i suoi fini». L’enciclica, con il suo respiro globale sulle vicende economiche e umane, è l’ideale punto di partenza per cercare le origini della crisi e soprattutto introdurre, non diversamente dagli anni ’30 del secolo scorso, quelle innovazioni sociali che possono riportare l’economia su un nuovo sentiero di sviluppo, che davvero abbia al centro la persona umana e la sua dignità.Ciò induce a riflettere su almeno due aspetti. Il primo è che la pur debole crescita economica in atto in vari Paesi occidentali ha autorizzato molti a decretare la fine della crisi, nonostante il tasso di disoccupazione europeo sia al 10 per cento e quello americano solo di poco inferiore: dopotutto negli ultimi cinquant’anni si è ragionato così. Ma il permanere di una disoccupazione tanto elevata in tutti i Paesi occidentali ha avuto ripercussioni quasi immediate sulle prospettive di crescita, poiché se la domanda interna diminuisce simultaneamente in tutti i Paesi, diminuiscono anche le opportunità alle esportazioni, fatto salvo le nazioni emergenti.Il secondo motivo di riflessione prende nuovamente spunto dalla Caritas in veritate e dal suo richiamo al fatto che «il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità». Questa non è tuttavia la linea adottata dal “consenso europeo”, che ormai si affianca a quel consenso liberista ancora dominante a Washington nel privilegiare invece ogni altra forma di capitale – in particolare quelli di natura finanziaria – oltre che lo status quo delle ingiuste disuguaglianze economiche. Invece questo potrebbe essere il momento per realizzare un avanzamento del progetto europeo, creando forme di finanziamento stabili, reciprocamente controllate e condivise, per evitare che la riduzione dei disavanzi pubblici peggiori i livelli occupazionali.Occorre soprattutto una forza intellettuale e morale per portare al centro del dibattito la questione crescente dei «beni comuni», come l’aria e l’acqua, ma anche la dignità del lavoro e il diritto a un futuro: ma perché ciò avvenga è necessaria un’intenzionalità individuale e collettiva per perseguire obiettivi buoni per il vivere, cioè il «bene comune» di tradizione cristiana. La consapevolezza del fatto che i «beni comuni» sono un «bene comune» è ciò che può portarci fuori dalla crisi, consentendo una transizione senza rotture negli equilibri economici mondiali.
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