sabato 14 maggio 2011
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La ferma direttiva del cardinal Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, in merito al rapporto tra i camorristi e la comunità cristiana, costituisce – pur ponendosi su una linea di continuità con l’atteggiamento della Chiesa nei confronti della criminalità organizzata – un fatto estremamente significativo. Da alcuni anni, infatti, mentre la mafia siciliana ha adottato la linea del basso profilo, dopo i reiterati colpi subiti dai suoi vertici, la camorra costituisce, insieme alla ’ndrangheta, la frangia più aggressiva e arrogante di questa criminalità.Ora, uno dei punti di forza della malavita, nel Meridione, è la contiguità con l’ambiente culturale entro cui prolifera e opera. Questo spiega la sua straordinaria capacità di ripresa, anche dopo le frequenti operazioni con cui le forze dell’ordine e la magistratura (alla quale non saremo mai abbastanza grati per il suo coraggioso impegno a favore della legalità) ne scompaginano periodicamente i quadri militari. Come il gigante Anteo, che nessuno riusciva a sconfiggere nella lotta perché, essendo figlio di Gea, la terra, ogni volta che veniva steso al suolo riprendeva le proprie forze (finché Ercole non lo uccise tenendolo sospeso in aria). Il camorrista, al pari del mafioso e del membro delle ’ndrine, sa di poter nuotare come il pesce nell’acqua. I suoi codici valoriali sono condivisi anche da porzioni di coloro che non fanno parte dell’organizzazione criminale e gli valgono, anche quando è fuori dalla legge, la solidarietà, se non in certi casi la complicità, di una parte delle persone che gli stanno intorno. Di questo "brodo di coltura", entro cui la malavita si sviluppa e si nasconde, fa parte integrante una interpretazione distorta della dimensione religiosa. Nel grande fiume torrentizio – e perciò inevitabilmente non sempre limpido – della religiosità popolare si sono da sempre potuti rinvenire elementi che hanno fatto il gioco di mafiosi, ’ndranghetisti e camorristi nella elaborazione di un universo simbolico volto a giustificare i loro efferati crimini con una parvenza di sacralità.Così un certo ritualismo, una certa unilaterale sottolineatura del culto dei santi (magari concepiti in contrasto fra loro), una indebita riduzione della Provvidenza all’inesorabile Fato, il fraintendimento della fede religiosa come cieca obbedienza, hanno favorito il mantenimento di un’aura di sacralità nei riti di queste organizzazioni, nonché uno stile di dipendenza nei confronti dei capi all’interno delle "famiglie". A questo pretesa vicinanza ormai da molti anni i vescovi del Sud hanno risposto con una chiara e vigorosa denuncia del carattere essenzialmente anti-evangelico della criminalità organizzata in tutte le sue forme. Non solo da oggi, nessuno può in buona fede sostenere che la Chiesa abbia taciuto nei confronti della mafia e delle sue tristi "sorelle". È vero, però, che non sempre nella pastorale ordinaria si è saputo reagire con la necessaria lucidità e fermezza alle pretese di mafiosi, ’ndranghetisti e camorristi di far parte a pieno titolo della comunità cristiana, perfino cercando di esercitare un ruolo di primo piano nell’organizzazione di processioni, sagre e altri eventi religiosi. Da qui l’opportunità di ribadire, come ha decisamente fatto il cardinal Sepe, l’invalicabile distanza che separa i camorristi dalla Chiesa. Essi, ha sottolineato il prelato, non devono avere funerali religiosi, né possono fare da padrini in occasione di cresime e battesimi, o da testimoni in occasione di matrimoni. «I camorristi», ha detto, «devono sapere che non potranno più fare da padrini e, dopo la loro morte, non andranno in chiesa, ma direttamente al cimitero».Una sanzione la cui efficacia non sta solo nel far riflettere i criminali, ma nell’isolarli rispetto a un mondo culturale che tendeva a legittimarli come "buoni cristiani" e che ora invece si trova avvertito dalla più alta autorità religiosa della diocesi di Napoli – presidente, anche, della Conferenza episcopale campana – della necessità di scegliere tra Cristo e la sua Chiesa da una parte, la camorra dall’altra.
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