Cambiamento non è una parola magica
venerdì 14 dicembre 2018

Non v’è ambito della vita sociale che non sia percorso da grandi cambiamenti. Grandi cambiamenti, certo. Ma per quali fini? In nome di quale progetto? Per questi interrogativi non sempre esistono risposte adeguate e convincenti. Da ciò discendono paure, incertezze, difficoltà.

La scienza è oggi una forza direttamente e immediatamente produttiva, potenzialmente in grado di trasformarsi in tecnologia, prodotto, organizzazione, sistema sociale. Il tutto secondo dinamiche autopropulsive e multidirezionali che creano, a loro volta, opportunità per l’ulteriore progredire della scienza e delle sue applicazioni secondo modalità non sempre prevedibili e programmabili. Sorge però un grosso rischio. Quello di una sorta di neoscientismo secondo cui il progresso scientifico viene percepito e vissuto come il vero, unico, grande processo senza soggetti (tutt’al più questi rimangono sullo sfondo) e quindi, in definitiva, senza etica. Alcuni fatti spingono in tale direzione. Si pensi soltanto alla crescente dipendenza di ogni attività umana da supporti e mezzi tecnici (nel campo della medicina, dell’istruzione, della comunicazione, ecc.); alla crescente mediazione tecnica nei rapporti interpersonali (mediazione che si realizza attraverso piattaforme e algoritmi); alla organizzazione sistemico-complessa del produrre, del consumare, del vivere. Si tratta di sistemi nel cui ambito i soggetti talvolta finiscono con il diventare oggetti, appendici di nuove 'catene di montaggio' invisibili e imprendibili. Soggetti che sempre più appaiono sottomessi all'avvenimento scientifico-tecnologico (si pensi alla sua spettacolarizzazione); spossessati del reale, ovvero senza alcuna capacità di presa rispetto a una situazione che non si comprende; progressivamente privati dell’esperienza spazio-temporale. Spazio e tempo vengono diluiti nella 'fiction' fino a far perdere la memoria del passato e il gusto per la scommessa del futuro. L’uomo d’oggi si presenta ricco di strumenti, ma povero di fini e di valori. Questa inversione tra mezzi e fini caratterizza – a ben vedere – le moderne forme di alienazione nell’ambito delle quali l’uomo perde il senso profondo di sé in rapporto agli altri uomini e alla natura. Si priva cioè della possibilità di una 'buona vita'.

Cosa fare allora? Sui terreni della scienza e della tecnologia occorre riacquistare in progettualità, responsabilità, partecipazione riscoprendo i legami con l’etica, la cultura, la politica. Occorre un’escalation di consapevolezza. Consapevolezza che stanno radicalmente cambiando i nostri modi di vivere; di rapporto con noi stessi, con gli altri, con l’ambiente. Consapevolezza che il mondo diventa sempre più interdipendente. Consapevolezza di problemi e di sfide inedite cui occorre far fronte nella prospettiva di un bene comune globale, di tutti e di ciascuno. Il sapere non può che essere al servizio dell’uomo, di ogni uomo, di tutto l’uomo. Potremmo parlare, a questo proposito, di costitutiva umanità dell’agire scientifico e delle sua applicazioni. Tale costitutiva umanità va colta ed esplicitata in tutte le sue dimensioni etiche, politiche, culturali. Ne consegue che la crescita degli strumenti e dei mezzi (poco importa se raffinati e sofisticati) non può essere contrabbandata per crescita umana tout court; che la ragione tecnocratica ed efficentistica non può annullare la ragione umanistica; che la modernità non può esaurirsi in un mero assemblaggio di innovazioni tecnico-scientifiche trainate dalla sola domanda di mercato. Il mondo dei valori, l’uomo nella sua totalità non possono essere messi tra parentesi. Il sapere scientifico-tecnologico e le sue potenzialità, la comunicazione con i suoi connotati di interdipendenza planetaria, ma anche la paura di processi incontrollabili e incommensurabili in termini di rischio collegato alla fragilità dei sistemi complessi, quasi per assurdo, uniscono in comunità la globalità degli uomini. Qui sta il punto di forza su cui far leva per capovolgere situazioni dominate da ingiustizia ed esclusione che non possono più essere accettate al livello di giudizio della comunità globale. È in quest’ottica che occorre ripensare il senso della ricerca scientifica e tecnologica cogliendone altresì i legami con la gestione dell’economia, con il fare politica, con il fare cultura.

Professore emerito Università di Genova

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