C'è un'arma di pace in più: il crimine di aggressione
venerdì 5 novembre 2021

Caro direttore,
la Camera ha ratificato ieri gli emendamenti allo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale che introducono il crimine di aggressione tra quelli perseguibili dalla Corte. L’aggressione è definita come la forma più grave e pericolosa dell’uso illegale della forza, nonché un crimine contro la pace globale, idoneo a dar luogo a responsabilità internazionali. Questo ci permette di perseguire come crimini di guerra non solo le questioni nell’ambito dei conflitti fra Stati , ma anche in quelli interni come, per esempio l’utilizzo contro minoranze di armi velenose, di gas asfissianti e tossici, di proiettili che si espandono.

Questa ratifica rappresenta un passo importante di civiltà giuridica, perché non possiamo dimenticare, questa terribile pandemia ce lo ha insegnato, che nessuna nazione si può salvare da sola, nessuna nazione può costruire il suo futuro da sola e che non esiste la libertà di una nazione di calpestare i diritti degli altri. I rapporti fra le comunità politiche vanno regolati nella verità e nella giustizia; senza giustizia non ci può essere pace mondiale e senza giustizia, una giustizia che travalichi anche i confini nazionali, non vi può essere ordine mondiale. Non sono in gioco la limitazione dei poteri di uno Stato, come è stato evocato dai sovranisti, e non si tratta di limitare in maniera diciamo nascosta le azioni legittime di protezione dei confini.

Certamente potranno essere perseguiti 'blocchi navali' che sono azioni militari, definite proprio dallo Statuto delle Nazioni Unite e dalle sue risoluzioni, in quanto atti di aggressione militare. La sostanza dell’azione della Corte Penale riguarda i crimini di guerra, crimini contro l umanità e il genocidio. Come non vi sono esseri umani superiori, in natura e dignità, rispetto agli altri, così non vi sono nazioni superiori, in dignità e natura rispetto ad altre. Il concetto espresso magistralmente da Giovanni XXIII nella Pacem in Terris è un principio del multilateralismo: tutte le nazioni hanno uguale diritto di poter vivere in maniera autonoma, responsabile, dignitosa e in pace.

Questo è il senso di una Corte penale internazionale, che supera in qualche modo i tribunali ad hoc già stabiliti per il Ruanda o per altri genocidi e finalmente dà l’idea di un multilateralismo globale, perché il bene comune universale – lo abbiamo visto e lo vediamo in questi giorni e in queste settimane con il G20 e con la Cop26 –, il progetto di una «ecologia integrale», pone problemi a dimensione universale, che quindi devono avere risposta a opera di poteri politici e di poteri giuridici adeguati alla dimensione mondiale. È un grande passo, questo, che compie l’Italia che sin dal principio ha un ruolo da protagonista, ospitando a Roma, 22 anni fa, la Conferenza che istituì la Corte.

Ma è vero che c’è un velo su questa ratifica: il fatto che la Corte penale non abbia l’adesione di ben 3 dei 5 Paesi membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu: Stati Uniti, Russia e Cina. Un grave vulnus per l’ordine mondiale, ma credo anche che l’Italia e l’Europa unita, che, invece, hanno scelto e voluto questa Corte penale possano indicare la via anche agli altri Paesi. Abbiamo visto come la guerra non sia un mezzo idoneo per risolvere i conflitti, lo dice la nostra Costituzione.

La vera soluzione dei conflitti è riconoscere a organismi sovranazionali un potere che impedisca le violazioni della dignità delle persone e delle comunità, sia delle minoranze dentro gli Stati sia tra gli Stati. Chiunque commette un crimine contro le persone o contro le comunità non può ritenersi impunito. Nuove sfide globali attendono il mondo, nuove forme di aggressione minacciano gli Stati e la pace mondiale. Avremo dunque bisogno di quanti più strumenti giuridici possibili e multilaterali per governare le vecchie e le nuove sfide e garantire la pace, la stabilità globale e un maggiore rispetto dei diritti umani.

Deputato Pd

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