martedì 6 febbraio 2018
Caro direttore, la vicenda ribattezzata dei 'braccialetti di Amazon' ha riaperto il dibattito sul tema della qualità del lavoro. Io penso che non vada confuso l’uso delle tecnologia manovrata ...
Braccialetti e lavoro: tre punti di ripartenza
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Caro direttore,
la vicenda ribattezzata dei 'braccialetti di Amazon' ha riaperto il dibattito sul tema della qualità del lavoro. Io penso che non vada confuso l’uso delle tecnologia manovrata dall’uomo per aumentare la produttività, far diminuire gli incidenti, ridurre i passaggi produttivi (come previsto nel Jobs Act), con l’applicazione della tecnologia all’uomo per trasformarlo in una sorta di ibrido metà persona e metà robot. La differenza non è nominalistica, né ideologica.

Il caso dei braccialetti ha riaperto una finestra sullaconcezione del lavoro, portando il dibattito a concentrarsi su un nuovo livello di interazione fra macchina e uomo al quale forse non eravamo mai arrivati prima. Io penso che sia pericoloso accettare che ci siano degli insediamenti produttivi in cui le persone sono guidate da un computer che da remoto impartisce ai lavoratori impulsi, istruzioni e comandi analitici ed elementari, perché vuol dire accettare la subalternità della complessità della persona all’intelligenza artificiale. Consentire a delle macchine di etero-guidare i movimenti e gli spostamenti di una lavoratrice o un lavoratore, vuol dire offendere la dignità della persona, mortificarne il valore aggiunto e cercare di standardizzare la prestazione del capitale umano verso il basso (magari giustificando in questo modo la scelta di abbassare la controprestazione economica, cioè pagarla poco). Spesso sentiamo dire che l’intelligenza artificiale farà perdere milioni di posti di lavoro e anch’io penso che se non troviamo un nuovo equilibrio questo sia possibile.

Ma sostituire tale eventuale conseguenza negativa con la mortificazione della prestazione della persona rischia di essere ancora peggio. La direzione di marcia giusta (come dicono autorevoli esponenti del mondo accademico, che sono anche collaboratori di questo giornale, come Mauro Magatti e Leonardo Becchetti) dovrebbe essere esattamente opposta a quella a cui stiamo assistendo. 1) La qualità dell’apporto umano e individuale alla prestazione lavorativa dovrebbe esseresempre più elevata per 'scaricare' sulla macchine e sui robot compiti basilari. 2) Il lavoro andrebbe remunerato sempre meglio perché questo consentirebbe di creare un valore sociale più ampio e diffuso e finalmente le diseguaglianze comincerebbero a ridursi. 3) In nessun caso è ammissibile offendere il lavoratore imponendo di eseguire compiti elementari che fanno perdere la personalizzazione della prestazione.Anche nel lavoro come nella politica 'uno non vale uno'.

Sarebbe molto utile nella prossima legislatura affrontare il tema della qualità del lavoro, per fare in modo che l’industria 4.0 e il progresso in campo tecnologico non diventino modi per deprimere il bene più importante dell’umanità che è la dignità della persona umana.

*Sottosegretario per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione

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