Autorità e potere
sabato 30 settembre 2023

Nell’ultima assemblea plenaria dell’Onu, il segretario Antonio Guterres ha usato espressioni forti come «il collasso climatico è iniziato» o «la nuova corsa agli armamenti nucleari è pura follia», richiamando ancora una volta i potenti del mondo all’urgenza di una nuova politica. Nella sua recente visita a Marsiglia, papa Francesco ha ribadito quanto ha già più volte detto: «Basta indifferenza verso la vita». Per quanto complessa, la questione dei migranti non può non essere affrontata dimenticando la dignità di ogni singola persona. Nel corso dell’estate, cento scienziati italiani hanno firmato un appello sulla necessità di informare l’opinione pubblica circa le cause del cambiamento climatico, mentre trenta premi Nobel hanno sottoscritto una dichiarazione per fermare il riarmo in corso.

Tre cattedre di un’autorità senza potere che si sono rivolte ai potenti del mondo chiedendo un cambio di rotta. Parole inascoltate, ma non per questo meno vere. Il tema del rapporto tra chi ha autorità e chi esercita il potere è antico. Nel mondo latino si distingueva tra autoritas e potestas. La prima col compito di delineare i riferimenti generali della vita comune, la seconda con il mandato di declinare tali orientamenti in scelte politiche concrete. In un gioco articolato, qualche volta conflittuale, ma comunque prezioso. Questa polarità la ritroviamo anche nella Costituzione italiana, dove il Presidente della Repubblica, con la sua funzione di garanzia, ha il compito di richiamare l’esecutivo, i partiti politici e l’interno Paese ai valori fondamentali che fondano la Repubblica italiana. I moderni Stati nazionali sono emersi nel corso degli ultimi secoli come entità territoriali fondate sul principio di sovranità. Il loro contributo all’evoluzione delle nostre società è fuori discussione.

Ma il problema è che, nella situazione odierna, l’idea stessa di sovranità territoriale si scontra con le nuove condizioni create dai decenni della globalizzazione. Sempre più i singoli Stati hanno a che fare con fenomeni che travalicano i loro confini. Basti pensare al riscaldamento climatico, alle grandi migrazioni, all’approvvigionamento delle materie prime, all’innovazione tecnologica. Ciò crea un evidente squilibrio istituzionale. Per affrontare questi problemi bisognerebbe assumere il punto di vista del mondo e non del singolo Paese; bisognerebbe pensare alle future generazioni e non solo agli elettori di oggi.

Prospettive che i sistemi di potere istituzionalizzati non riescono ad assumere. Per superare l’impasse, abbiamo bisogno di rafforzare il ruolo di quelle sedi autorevoli che, in quanto non ancorate allo spazio politico territoriale (e ai relativi poteri), possono parlare nel nome di coloro che non hanno voce e di dire quel bene comune che va al di là dei confini dello Stato nazionale.

A cominciare dalla ridefinizione dei compiti e delle funzioni dell’Onu. Una istituzione che ha preso forma in un’epoca ben diversa da quella attuale. È difficile – ma credo anche inopportuno – immaginare che le Nazioni Unite diventino un luogo di potere. Mentre è auspicabile che l’Onu si qualifichi ancor di più come cattedra autorevole capace di elaborare prese di posizioni e indicazioni che fungano da richiamo al bene comune planetario per tutti gli attori in campo. Obiettivo che si potrebbe raggiungere, ad esempio, qualificando maggiormente i membri delegati dell’Onu (ambasciatori di Stati ma anche autorità nei loro Paesi) e ridefinendo ruoli e compiti del Consiglio di sicurezza.

La stessa cosa vale per le grandi Chiese che costituiscono soggetti importanti (benché non politici) del mondo globalizzato. Valorizzando l’esperienza occidentale della separazione tra potere politico e religioso, non c’è dubbio che, di fronte alle sfide del XXI secolo, le grandi fedi religiose possono giocare un ruolo fondamentale diventando sempre più autorevoli nei confronti dei problemi comuni. Un obiettivo che si potrebbe raggiungere facendo nascere nuovi luoghi istituzionali in cui il dialogo tra le diverse appartenenze religiose venga sviluppato e rafforzato allo scopo di elaborare prese di posizioni comuni. Infine, la scienza, grande protagonista delle società avanzate, troppo spesso tiranneggiata dai grandi interessi in campo.

Anche in questo caso, sarebbe importante rafforzare consessi in cui la discussione tra scienziati autorevoli di tutto il mondo possa svolgersi in modo libero e così esprimere – su temi specifici, come ad esempio l’intelligenza artificiale – indicazioni e orientamenti utili per le scelte dei governi. Viviamo in un tempo nuovo. E l’unico modo di attraversarlo sensatamente è immaginare le nuove condizioni che lo possano rendere abitabile.

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