ATTESA Onnipotenza, pretesa infranta. Adesso torniamo a desiderare
sabato 2 gennaio 2021

Nel gesto di cambiare il calendario c’è in questo esordio a lungo sospirato dell’anno nuovo qualcosa di ancor più simbolico del consueto: non solo il lasciarsi alle spalle mesi tribolati ma anche il desiderio – fortissimo – di aprirci al nuovo, consapevoli tuttavia che occorrerà altro tempo per scorgere veri segni di cambiamento. Sentiamo però intanto urgere alcune domande essenziali: cosa cerchiamo nel 2021? Di cosa si nutre la nostra fiducia che le cose andranno meglio? E prima di liberarcene del tutto, cosa ci ha insegnato il 2020? Servono punti fermi attorno ai quali costruire il «tempo nuovo» che comunque verrà. Abbiamo chiesto ad alcune firme care ai lettori di Avvenire di aiutarci a trovare parole portanti, come architravi affidabili. Eccole.

ATTESA Onnipotenza, pretesa infranta. Adesso torniamo a desiderare

Un economista difficilmente metterebbe la parola "attesa" tra quelle necessarie a un tempo nuovo. Eppure il bene di una società non può costruirsi senza una dimensione spirituale ed esistenziale forte; e in questo panorama, l’attesa ha un posto importante. Non semplicemente l’attesa di qualcosa, o di qualcuno, o di qualche evento: queste sono solo immagini un po’ sfocate di una dimensione interiore, di un atteggiamento dello spirito aperto all’imprevedibile e al tempo stesso consapevole della fragilità umana e del suo bisogno di superamento. "Attesa" è una parola che non ama stare in solitudine; trascina dietro a sé un grappolo di atteggiamenti che insieme contribuiscono a dirne la vitalità umana, generativa di significati profondi e sensibili: desiderio e mancanza, futuro e fiducia, pazienza e sogno...

Attesa è un termine femminile, e non solo per la grammatica: è l’esperienza della madre che porta in grembo un bimbo di cui aspetta di vedere gli occhi, il sorriso, il carattere, la vita. L’attesa ha molti volti: nasce dal desiderio, sperimenta la mancanza; è frutto del bisogno di essere liberati da un peso che ci opprime. In ogni caso, orienta al futuro. «Sentinella, quanto resta della notte?». In un discorso che fece epoca Giuseppe Dossetti, citando Isaia, dava voce al desiderio della fine di una stagione difficile per il nostro Paese. La sentinella scruta l’orizzonte per vedere i primi bagliori dell’alba che dicano che la notte è finita, che la luce ritorna, con la sua promessa di una nuova vita.

La madre e la sentinella: due attese, due stati d’animo, lo stesso sguardo al futuro di cui immaginare i contorni senza ancora vederli. Noi tutti ci sentiamo un po’ come la sentinella che scruta l’orizzonte per vedere i segni della fine di una vicenda di dolore che sta tenendo in scacco tutta l’umanità. E in questa attesa collettiva confluiscono le attese personali: soprattutto quella dei malati che aspettano uno sguardo, un’attenzione, una parola che dia coraggio...; che attendono il momento in cui il corpo proverà sollievo, e le energie torneranno...: anche la guarigione si attende, non si programma, non è garantita.La vicenda che sta coinvolgendo l’intera umanità nell’esperienza della pandemia ha risvegliato, insieme alla coscienza della comune fragilità, anche il senso dell’attesa: non solo quella del vaccino, ma quella di un modo diverso di vivere il nostro essere uomini e donne. Papa Francesco non smette di invitare a cercare e a pensare questa novità.

Ci si potrebbe chiedere perché, per un tempo nuovo, abbiamo bisogno di imparare l’attesa. Quale risorsa essa mette in campo? L’attesa è la forza di un desiderio che non si lascia spegnere dal tempo che passa. È la resistenza del desiderio e della fiducia. Attendere è restare aperti all’inedito, che è anche imprevedibile, immaginando che per noi conterrà un bene. L’attesa nasce dalla consapevolezza che vi sono beni che non dipendono da noi. Noi possiamo desiderarli, ma non farli accadere. Proprio questo ci sta ricordando la vicenda collettiva che stiamo vivendo. Se ci sta insegnando ad attendere, se sta infrangendo i nostri pensieri di onnipotenza e ci sta ricordando la forza del desiderare, ci sta rendendo più umani.

L’attesa rende più sensibili: chi attende scruta la realtà per scoprire in essa gli indizi di un desiderio che inizia a realizzarsi. E impara le sfumature: dei sentimenti, delle relazioni, degli stati d’animo. Scopre a poco a poco, con il passare dei giorni, ricchezze nuove della propria umanità, conosce parole nuove, forse sconosciute, forse dimenticate: compassione, gentilezza, silenzio, vicinanza, tenerezza... Protagoniste di questo tempo nuovo non potranno non essere le donne, che hanno pagato e stanno pagando il prezzo più alto della crisi attuale. Potrebbe sembrare un sogno, ma è ciò che papa Francesco ci chiede di continuo: osare il sogno, non accontentarsi, pensare in grande.

Non si sa quanto durino le attese; non si sa quando e se ciò che attendiamo arriverà, ma certo, in questa condizione, noi saremo diventati migliori. Il tempo nuovo che desideriamo ha bisogno di attesa, cioè di ciò che ci mette in contatto con il mistero della vita.

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