Migranti: seria proposta dell’Anci
martedì 27 novembre 2018

Non è affatto vero che lo Stato italiano sia particolarmente generoso nel concedere protezione ai richiedenti asilo, rispetto alle medie dell’Europa Occidentale. Il tasso di riconoscimento, ossia le risposte positive in relazione alle domande, per il 2017 è stato del 40% in Italia, contro il 47% della Svezia, il 53% della Germania, il 63% della Slovenia, il 65% del Belgio, il 68% dell’Austria, il 78% della Norvegia. Solo la Francia è stata più avara: 27%. Più o meno come l’Ungheria (30%), appena un po’ meglio della Polonia (20%) (Fonte: Aida, Asylum Statistics 2017: Shifting Patterns, Persisting Disparities, 2018). Se le nostre autorità hanno impiegato maggiormente la protezione umanitaria, la formula più debole, ma anche più flessibile, le nostre controparti dell’Europa Occidentale hanno concesso in prevalenza forme di protezione più impegnative.

Tutto lascia prevedere però che le restrizioni del diritto di asilo previste dal pacchetto sicurezza abbasseranno il numero delle risposte positive per il nostro Paese. Provocheranno una crescita dei dinieghi e quindi degli immigrati in condizione irregolare. Presumibilmente 100-120mila rispetto ai 150mila attualmente accolti nel sistema dell’asilo. Nello stesso tempo, nulla lascia pensare che il governo riuscirà a espellerne effettivamente più di qualche migliaio.

Gli altri rimarranno in Italia, da sbandati. Per partire quasi certamente si sono indebitati, hanno venduto ciò che avevano, hanno raccolto denaro tra parenti e vicini di casa. Poi hanno rischiato la vita e spesso subito violenze, soprusi, angherie di ogni tipo. Tornare indietro da sconfitti è l’ultima delle loro aspirazioni. Anzi, è un’opzione che i più non sono neanche disposti a prendere in considerazione. Nel migliore dei casi vivranno di qualche forma di assistenza dispensata dagli attori della solidarietà variamente organizzata, finché verrà consentito di aiutarli.

Oppure tenderanno la mano per chiedere l’elemosina, o ingrosseranno le fila dei lavoratori in nero. Per tacere di alternative ancora peggiori. Dormiranno sotto i portici, in stabili abbandonati, nei parchi, al massimo nei dormitori disposti ad accoglierli. Con quali effetti sul decoro delle città è facile immaginare.

È necessario allora mettere da parte le ideologie e le dichiarazioni propagandistiche per immaginare una soluzione ragionevole al problema. Una proposta interessante è stata avanzata dall’Anci, l’Associazione dei Comuni italiani, che raccoglie sindaci di tutti gli schieramenti: istituire un permesso di soggiorno per «comprovata volontà d’integrazione».

Spetterebbe al questore rilasciarlo, su proposta della Commissione prefettizia per l’asilo, quando il richiedente soddisfi alcune condizioni: una conoscenza certificata di un certo livello della lingua italiana; un regolare contratto di lavoro, o almeno la partecipazione in corso a un tirocinio formativo; l’attestazione dello svolgimento di almeno 100 ore di volontariato.

Questo permesso dovrebbe avere una durata pari al tirocinio o al contratto di lavoro incrementata di sei mesi, convertibile in permesso di soggiorno per lavoro qualora ne ricorrano le condizioni. Ci si deve domandare: ha senso spingere nell’illegalità persone che soddisfino questi requisiti, tutt’altro che lassisti?

La società italiana trarrà più vantaggi da un’astratta riaffermazione dei confini, e quindi di una definizione restrittiva del diritto di asilo, oppure dal proseguimento dei percorsi d’integrazione in cui gli interessati si sono seriamente impegnati? Non solo i valori umanitari, ma anche elementari ragioni di convenienza dovrebbero ispirare le nostre decisioni in questa materia.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI