sabato 6 luglio 2013
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È altamente significativo che papa Francesco abbia voluto accogliere l’eredità di un’enciclica di Benedetto XVI e l’abbia promulgata aggiungendo al testo nuovi contenuti. Non è la prima volta che questo accade nella Chiesa, e tuttavia questa enciclica è capace di testimoniare la continuità dell’azione di confermare nella fede i fratelli da parte del successore di Pietro e, nello stesso tempo, di dare un segno della fraternità tra il vescovo di Roma emerito e quello attuale. Il tema dell’enciclica è la fede, e questa lettera non solo viene emanata nell’anno a essa dedicato, ma è anche il completamento dell’insegnamento di Benedetto XVI sulle virtù teologali, dopo le sue encicliche sulla carità e sulla speranza. Siamo in un’ora contrassegnata dalla crisi della fede: della fede in Dio, certamente, e dunque in Colui che ha raccontato Dio, Gesù Cristo (cf. Gv 1,18); ma crisi anche dell’umanità della fede, della fede come atto umano, fede-fiducia come fondamento necessario per il cammino di umanizzazione. Papa Francesco ci offre un approfondimento della fede, ripercorrendo per noi la strada della storia di salvezza: la fede è quella che è apparsa tra gli uomini con Abramo, il padre dei credenti; è stata fede di Israele, il popolo di Dio; è stata fede compiuta in Gesù Cristo, «origine e compimento» della fede cristiana (cf. Eb 12,2). Questa fede, che resta un dono di Dio e nasce sempre dall’ascolto (cf. Rm 10,17), nell’uomo si fa esercizio e si coniuga in modo fecondo con l’intelligenza e la ragione umana, con il cuore stesso dell’uomo, ed è la vera luce per la conoscenza di Dio e della verità che è Gesù Cristo (cf. Gv 14,6), per quanto è possibile all’essere umano.Ma la fede vissuta, custodita e annunciata dalla Chiesa è anche una fede che riguarda tutta l’umanità, è per il «bene comune» ed è capace di dare senso alla vita degli uomini e delle donne, vita fragile, votata alla morte, che nella fede diventa incontro con il Signore nella vita per sempre. Se questa è la traccia dell’enciclica, occorrerebbe molto più spazio per mettere in luce i passaggi estremamente significativi e performanti delle parole di papa Francesco. Voglio però evidenziare almeno tre acquisizioni decisive. Innanzitutto, l’affermazione forte secondo cui la fede non è lo spazio vietato alla ragione, non è un salto nel vuoto, non è un sentimento cieco e neppure un fatto soggettivo, una concezione individualistica. È vero che essa è sempre un dono, e di conseguenza un atto personale, ma è capace di rischiarare il cammino di ogni essere umano, di far comprendere la storia dell’uomo e dell’universo, di dare un senso al duro mestiere di vivere toccato in sorte all’uomo. Un’altra affermazione forte riguarda il contenuto di questa fede: è l’amore, o meglio, è il Dio che «è amore» (1Gv 4,8.16). Chi sono i cristiani? Quelli che «hanno creduto all’amore» (cf. 1Gv 4,16). E quando non si crede all’amore, si finisce per credere agli idoli, che sono un falso antropologico prima di essere un falso teologico. È l’idolatria il contrario della fede, è l’idolatria alienante che «chiede a un volto umano di piegarsi a un volto che non è un volto umano» (Martin Buber), bensì il volto di un signore-padrone che non permette né libertà né amore. Infine, proprio perché i cristiani sono stati definiti paradossalmente «i credenti» (At 2,44), essi confidano in Gesù Cristo, il Dio-uomo, affidabile perché fedele al Padre e all’uomo fino alla morte, fino a dare la propria vita per gli uomini, suoi fratelli e amici. La fede cristiana non può non essere amore per Gesù Cristo, perché «l’amore stesso è conoscenza» (san Gregorio Magno). Essendo dunque la fede strettamente connessa con l’amore, non può essere imposta con la violenza, non può essere una verità che schiaccia il singolo, non sarà fede intransigente e neppure arrogante, ma umile. La verità, infatti, non sarà mai posseduta da qualcuno, ma sempre ci possederà e ci precederà, perché la verità è una persona, Gesù Cristo! E per tutti quelli che non si dicono cristiani né credenti in Dio il messaggio dell’enciclica è di grande speranza: «nella misura in cui si aprono all’amore con cuore sincero … già vivono, senza saperlo, nella strada verso la fede». Sì, occorre fede-fiducia per tutti gli uomini, e soprattutto occorre credere all’amore. A chi crede all’amore, Dio si farà conoscere in un modo noto a Lui solo, e lo assocerà al mistero pasquale di Cristo (cf. Gaudium et spes 22).​
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