lunedì 27 maggio 2013
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Donne del nostro sud. Donne di oggi, dico, non dei secoli passati. Donne ancora giovani, ma già malandate. Donne che non fanno notizia, non bucano lo schermo. Dignitose e discrete. Laboriose e provate. Povere e sciupate. Un sottile senso di colpa e di impotenza mi pervade nel vederle girare per le strade o pregare in chiesa. L’economia della loro casa poggiava fino a poco tempo fa su un’unica entrata: il lavoro dei mariti – il più delle volte nel campo dell’edilizia, e in nero – oggi quasi tutti disoccupati. 
Qualche anno fa, c’è stato il crollo. Inesorabile. È arrivata la «crisi», che si è abbattuta su di esse come un fulmine. All’inizio hanno attinto al piccolo gruzzolo che avevano da parte; poi hanno chiesto aiuto alle famiglie, agli amici, alle parrocchie con il proposito di restituire il debito. Infine hanno preso a bussare ai cuori solo per pietà. Si sono fatte mendicanti. Discretamente. Con il rossore in volto. Per sopravvivere hanno dovuto ridurre le spese fino all’osso, eliminando il superfluo. Ben presto son passate a quel necessario che, a prima vista, non appariva veramente tale. Come – ma è solo un esempio fra tanti – le spese del dentista. Ho detto il dentista, non il sarto o l’estetista. Con quel che costano, non se li possono permettere. E quando l’amore per un figlio le costringe a cercarlo, trattano il pagamento a rate o fanno ricorso all’usuraio del quartiere. Ed eccole qui tante nostre belle, fiere donne meridionali, rassegnarsi tristemente al precoce sfiorire della loro bellezza, della loro giovinezza. Hanno dovuto trascurare una carie dopo l’altra; hanno dovuto dire addio ai denti senza la possibilità di poterli sostituire. E il loro aspetto pian piano si è andato deturpando. Ne provano imbarazzo e nel parlare si coprono le labbra con la mano, come quando si rivela un segreto a un amico.
Peccato che di queste nostre donne si parli troppo poco. Eppure sono i pilastri su cui poggiano ancora tante famiglie del nostro Sud. Donne che si inventano la vita giorno dopo giorno; che vanno alla ricerca della vecchina da accudire per dar da mangiare ai figli. Dai servizi sociali – inutile ripeterlo – mai nessuno aiuto. Nel guardarle, mi ritorna in mente un documentario realizzato nel dopoguerra nei pressi di Eboli, il paese dove Carlo Levi fa fermare Cristo. La telecamera inquadra un’anziana, sdentata contadina che si esprime solo in uno stretto dialetto locale. A un certo punto il giornalista le chiede l’età e la "vecchia", contenta per aver compreso la domanda, risponde: «38 anni». Incredibile, ma allora si era alla fine di una guerra stupida e feroce.
E oggi? È ancora concepibile che tanta nostra gente debba rinunciare anche a cure mediche necessarie solo perché non ha i soldi per pagare il conto salatissimo? È sopportabile che la cura dei denti – indispensabili per la digestione, la salute cardiaca, l’aspetto fisico, la sfera sentimentale, psicologica, sessuale; il risvolto sociale – sia considerata un lusso di cui i poveri possono anche fare a meno
 Donne nostre. Donne belle e sfiorite. Donne generose che magari hanno studiato poco per lasciare spazio e occasioni al fratello maschio. Queste donne sono ancora numerosissime nel nostro meridione. Non hanno un lavoro che le renda indipendenti, eppure si affaticano tanto. Disposte a sacrifici di ogni tipo. Non avvezze a reclamare i loro diritti in piazza. Restie perfino a denunciare il marito, il fidanzato o il convivente quando si fanno violenti e alzano le mani. Ingoiano amarezza. Soffrono in silenzio. Per tenere unita la famiglia. Per donare fiducia ai figli. Per non farli cadere nel baratro dei vizi. Sono umili, dignitose, indispensabili. Meritano giustizia e il rispetto di sguardi sempre attenti. Soprattutto da coloro che si sono assunti una responsabilità politica.
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