venerdì 9 febbraio 2018
Sabato 10 febbraio la giornata. Nel 2017 il 23% delle persone ha dovuto rinunciare a una cura per problemi economici
Ai nuovi poveri servono anche le medicine, sabato la raccolta
COMMENTA E CONDIVIDI

Trentatrè miliardi di euro. È la cifra che i cittadini italiani spendono ogni anno per integrare la spesa sanitaria (quattro volte superiore) garantita dallo Stato. 33 miliardi di spesa cosiddetta out of pocket, necessaria per pagare i ticket, le visite specialistiche, i farmaci non coperti dal Sistema Sanitario Nazionale, il dentista, le fisioterapie, e così via. Inevitabile che con queste cifre sia aumentata nel tempo l’area di chi rinuncia alle cure per ragioni economiche. Secondo il IV Rapporto sulla povertà sanitaria della Fondazione Banco Farmaceutico, nel 2017 23 italiani su 100 hanno dovuto rinunciare almeno una volta ad acquistare farmaci per problemi economici. La coperta del welfare pubblico è dunque corta. Soprattutto sul fronte sanitario, dove si sono accumulati i tagli più significativi durante la grande crisi. E fuori dalla coperta è aumentato il numero di quanti non sono in condizione di garantirsi nemmeno l’essenziale: per questi, l’accesso ai farmaci è garantito solo dalla alla filiera della donazione. Quattro anni fa erano 410mila gli indigenti aiutati dalle opere di carità che si occupano anche di dispensazione di farmaci. Oggi sono quasi 600mila, in prevalenza stranieri, maschi, in due casi su dieci minorenni. Li sostiene una rete di oltre 1.700 organizzazioni di volontariato, distribuite in tutte le regioni, con una concentrazione più elevata nel Nord Ovest (36,5%) e nel Nord Est (27,2%) e sensibili incrementi nelle altre ripartizioni.

Questa rete rappresenta uno dei volti di un movimento profondo presente nella società italiana e che sembra resistere alla deriva individualizzante e narcisista, cifra caratteristica della nostra epoca. Si tratta di un buon esempio di responsive community, secondo la fortuna definizione del sociologo statunitense Amitai Etzioni. Ovvero di quel modello di sviluppo sociale che vede protagonista la società nel suo complesso, capace di produrre risposte efficaci e sostenibili soprattutto laddove il welfare pubblico non sembra più in grado di arrivare. Un 'welfare responsabile' (come recita il titolo di un corposo volume curato da Vincenzo Cesareo per Vita e Pensiero), perché capace di mobilitare le energie sociali per riattivare l’intera comunità verso scopi condivisi. Nel campo della risposta alla povertà sanitaria è certamente un buon esempio di responsabilità in azione quella che da 18 anni va sotto il nome di Giornata di Raccolta del Farmaco (GRF), promossa dalla Fondazione Banco Farmaceutico e ormai alle porte (sabato 10 febbraio). Un’azione responsabile a più livelli, perché sono almeno tre i protagonisti attivi di questa giornata della solidarietà la cui genesi è di per sé molto significativa. Tra gli ideatori della GRF figurano infatti alcuni farmacisti milanesi, desiderosi di contribuire per quanto possibile alla promozione di una cultura della donazione (e dunque, ancora una volta, della co-responsabilità di ogni cittadino al bene comune), promuovere attraverso la raccolta e la distribuzione gratuita di farmaci da banco agli indigenti mediante la collaborazione con alcune strutture caritative da tempo impegnate sul versante sanitario.

Quell’originario nucleo di 'responsabili', ideatori della prima GRF nel lontano anno 2000, ha coinvolto progressivamente molti altri colleghi, acquisendo credibilità e stima presso le associazioni provinciali e regionali dei farmacisti che sul piano nazionale afferiscono a Federfarma. Si è trattato insomma di un processo di sviluppo dal basso, che ha allargato le proprie maglie per contagio, generando così una rete sociale che ha nel tempo consolidato la propria presenza. Il sostegno dei titolari di farmacie è rimasto fondamentale per la realizzazione della GRF ed è aumentato, coinvolgendo un numero crescente di presidii fino al traguardo di 3.851 unità raggiunto nel 2017 e delle oltre 4.000 che si apprestano a vivere l’edizione 2018 del prossimo 10 febbraio. Il coinvolgimento dei farmacisti nella GRF rafforza la funzione sociale delle farmacie rispetto al territorio in cui operano e alla popolazione residente, composta da donatori di farmaci da banco agli indigenti e di beneficiari diretti di queste donazioni. Nel corso dell’ultimo quinquennio, le farmacie che hanno aderito alla GRF sono aumentate del 14%, con una crescita particolarmente elevata nelle regioni del Sud (+33,7%) e del Centro (+ 16,3%), con un effetto molto positivo sia sul piano operativo che culturale: insieme al numero delle farmacie è cresciuta infatti la disponibilità di volontari ad offrire la propria opera nel corso della Giornata, e conseguentemente anche la possibilità dei cittadini di donare farmaci da banco, aumentando le dosi da destinare agli indigenti.

L’anno scorso sono stati circa 14mila i volontari impegnati nella GRF, una piccola rappresentanza degli oltre 5 milioni di volontari che agiscono nelle 336mila organizzazioni non profit registrate dal Censimento permanente dell’ISTAT, i cui primi risultati sono stati comunicati lo scorso dicembre. Quello della GRF è per altro un volontario sui generis: prevalentemente al femminile (55%), è decisamente meno giovane rispetto alle medie italiane (solo l’11% ha meno di 34 anni) ma anche meno anziano (il 20,7% ha più di 65 anni). Dunque, tra i volontari GRF sono più che rappresentate le persone delle classi centrali di età, con un livello di istruzione decisamente elevato: oltre il 40% sono infatti laureati, rispetto a una media del 18% nella popolazione italiana complessiva. Infine, per completare la biografia di questo drappello che il prossimo sabato saranno mobilitati nelle farmacie italiane, si tratta in prevalenza di persone con un lavoro dipendente (36.8%) o pensionati (24,3%). Gli appartenenti a questo drappello sono in prevalenza occupati (36,8%), o pensionati (24,3%), e in molti casi hanno alle spalle esperienze di volontariato di lunga durata. Questa parte della popolazione italiana che si assume la responsabilità di garantire la tenuta organizzativa di questo gesto di carità nel corso del tempo pesca naturalmente in un più ampio mare di capitale sociale, rappresentato soprattutto dall’associazionismo cattolico e dai grandi movimenti ecclesiali cui fanno riferimento 4 volontari su 10. Ma questo dato dice anche che quasi il 60% di queste persone è composto da comuni cittadini, senza specifiche appartenenze, che si rendono disponibili anche solo per poche ore.

È forse il segnale del fatto che sembra essersi estesa tra i cittadini la consapevolezza di dover fronteggiare anche le conseguenze sanitarie della povertà sia sul versante delle cure che delle attività di prevenzione. Al risultato materiale di questa importante opera di solidarietà, si aggiunge dunque un risultato morale, coincidente con la propensione al dono del proprio tempo di migliaia di cittadini spinti da spirito di condivisione e solidarietà nei confronti degli enti caritativi e degli indigenti. Il non profit non soltanto, dunque, come importante gestore ed erogatore di servizi di welfare, ma anche (e forse soprattutto) come ri-attivatore di una propensione alla responsabilità sociale diffusa che non viene meno neppure in tempi di ipertrofia della logica dei diritti.

*Professore ordinario di Sociologia generale alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
**Ricercatore di Sociologia presso la medesima falcoltà

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI