giovedì 16 maggio 2013
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Domenica scorsa, al Regina coeli in piazza San Pietro, Papa Francesco ha rivolto un accorato «invito a mantenere viva l’attenzione di tutti sul tema così importante del rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento», incoraggiando «l’iniziativa europea Uno di noi, per garantire protezione giuridica all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza». In solida continuità con il magistero dei suoi predecessori (quanti avessero auspicato o atteso un cambiamento di rotta sono rimasti delusi), il Pontefice ha fatto propria la causa del Vangelo della vita, scendendo in mezzo a «coloro che hanno a cuore la difesa della sacralità della vita umana» come un Padre, un fratello e un amico. L’invito del Papa getta una luce preziosa sul compito che attende il 'popolo della vita' – l’espressione, introdotta nel Magistero romano da Giovanni Paolo II, ricorre otto volte nell’enciclica Evangelium vitæ – dopo la straordinaria iniziativa della raccolta di firme per l’applicazione nella legislazione dell’Unione Europea del principio antropologico, etico, sociale e giuridico che la dignità umana e il diritto alla vita riguardano ogni essere umano, fin dal concepimento. Ed è questo: una mobilitazione culturale ed educativa permanente per «mantenere viva l’attenzione di tutti», credenti e no, per risvegliare le coscienze e prevenire l’assuefazione e la rassegnazione di fronte alle soverchianti aggressioni contro la vita umana quando essa è più fragile, nascosta, incapace di difendere se stessa. La difesa e l’accoglienza dei piccoli (non solo per l’età, ma anche e anzitutto per la debolezza, come lo sono anche gli anziani, i disabili, i malati gravi e i morenti) è la difesa e l’accoglienza – genuinamente evangelici – dei più poveri tra i poveri di questa terra, che «avremo sempre con noi» (cf. Gv 12,8). Lo stile schietto, semplice e incisivo di Papa Francesco ha mostrato ancora una volta la tenace unità dello sguardo che il Vangelo getta sulla cultura e sull’educazione della persona, del credente cittadino: il «Vangelo dei poveri» e il «Vangelo della vita» non sono separabili, e, di conseguenza, l’impegno sociale e politico per la giustizia, la pace e la tutela del creato implicano la dedizione alla buona causa della vita umana (la vita è un bene fondamentale, sempre), e viceversa. Ogni separazione introdurrebbe una lacerazione nella lettera e nello spirito della vita cristiana e costituirebbe, ultimamente, un tradimento del Vangelo stesso. Non abbiamo difficoltà a riconoscere che le iniziative dei comitati e dei centri di bioetica e le battaglie dei movimenti per la vita, delle associazioni e dei centri di aiuto alla vita non hanno solo concrete finalità giuridiche e operative, ma rappresentano un appello, una provocazione alla ragione e alla fede perché, nel loro essenziale compito educativo, introducano i giovani, gli adulti e le famiglie alla realtà totale della vita, senza censurarne alcuna dimensione. Una vita da accogliere, far crescere, custodire e difendere, una vita da amare perché «buona» in se stessa, sempre, a prescindere da ulteriori determinazioni qualitative e quantitative, cronologiche, etniche, nosologiche o economiche. La vita fisica non è solo la mera vita 'biologica' (riduttivamente intesa) dell’uomo – essa è già la dimensione radicale di ogni esistenza personale – ma manifesta anche e anzitutto un carattere antropologico, il solo capace di fondare e garantire la nostra inalienabile dignità, l’intelligenza, l’affettività e la relazionalità. La possibilità di crescita e di sviluppo individuale e sociale dipendono da essa, così come l’istruzione, il lavoro e la pace. Educare alla vita è possibile, sempre, ed è il compito che ci attende, civilmente ed ecclesialmente per contribuire alla «ripresa dell’umano», condizione imprescindibile di ogni altra ripresa sociale ed economica. Una responsabilità ancora più tenace e feconda, cui l’iniziativa Uno di noi ha dato testimonianza e il Papa incoraggiamento.
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