Alla Calabria non serve l'alternanza della delusione
mercoledì 29 gennaio 2020

Acqua passata – recita un vecchio adagio calabrese – ’un macina mulinu. In altre parole, vivere con lo sguardo rivolto all’indietro può risultare sterile e improduttivo. Tuttavia in politica, e nella vita, l’analisi di fatti avvenuti non è mai inutile, perché può fornire chiavi utili a interpretare il presente e a progettare il futuro. In questa prospettiva, il voto di domenica in Calabria offre spunti per qualche ulteriore riflessione. La prima riguarda quella che potremmo chiamare 'tarantella dell’alternanza': da quando i governatori regionali sono eletti a suffragio diretto, alla guida della Regione si sono succeduti centrodestra e centrosinistra, in una staffetta iniziata nel 2000 con Chiaravalloti (Casa delle libertà), proseguita con Loiero (Unione), Scopelliti (Pdl-Udc-Ncd) e Oliverio (Pd-Sel), fino al voto a valanga dell’altro ieri per Jole Santelli (Fi-Lega-Fdi-Udc).
Perché, viene da chiedersi, in quattro lustri nessuna delle coalizioni che hanno governato in Calabria è riuscita (come avvenuto altrove, ad esempio col centrosinistra in Emilia e in Puglia o col centrodestra in Veneto e Lombardia) a convincere coi fatti gli elettori di poter meritare una riconferma del mandato? Quale mutevole sentiment, direbbero i politologi, ha spinto finora i calabresi a determinare un costante spariglio nella gestione della Regione? Per provare a rispondere, un altro dato può offrire ulteriori elementi di valutazione. Riguarda il drammatico astensionismo: al voto regionale ha partecipato infatti solo il 44% degli aventi diritto, come avvenuto nel 2014. La maggioranza del milione e 800mila elettori calabresi, dunque, non nutre nella politica regionale neppure quel minimo di fiducia sufficiente a motivarla a recarsi alle urne. « Si a politica non cangia i cosi, chi votamu a fari? », ci ha detto qualche giorno fa un trentenne di un comune ionico, mentre seguivamo la campagna elettorale. Una rassegnazione atavica, alimentata dal fatto di vivere in una Regione gravata da tare annose: dalla carenza di infrastrutture alla sanità in disarmo, fino a tassi di disoccupazione e indicatori economici da maglia nera europea.
Per l’Istat chi risiede a Crotone guadagna in media 11mila euro annui, contro i 27mila di chi abita a Milano. Una condizione che spinge migliaia di giovani a emigrare, come i loro nonni. Come se non bastasse, su tutto aleggia l’ombra cupa e pervasiva della ’ndrangheta, con 166 cosche e 4mila affiliati censiti dai magistrati. Tanto che c’è chi ipotizza che (in una Regione dove si contano 20 enti locali sciolti per mafia sui 45 totali in Italia) siano proprio la ’ndrangheta e alcuni opachi gruppi di potere a tramare, gattopardescamente, affinché tutto cambi per non cambiar nulla. Secondo il procuratore di Catanzaro Gratteri, «in alcuni territori ad alta densità ’ndranghetista » le cosche sposterebbero fino al «30% dei voti». Ogni volta che ci sono le elezioni in Calabria, argomenta il magistrato, «chi vince, vince per il 70 per cento. C’è sempre un’alternanza di potere. E la ’ndrangheta cerca di non stare mai all’opposizione».
Interpretazioni a parte, le due succitate tendenze – alternanza e astensionismo – restano. E sarebbe miope e superficiale ignorarle. A caldo, dopo l’exploit elettorale di domenica, la neo governatrice Jole Santelli ha dedicato la vittoria ai suoi nipotini «che come tutti bambini della Calabria devono avere la speranza di poterci vivere». Per riaccenderla, tuttavia, non basteranno slogan e promesse di 'cambiamento': prova ne sia la parabola discendente di M5s, passato in regione dal roboante 43,39% delle politiche del 2018 al tristanzuolo 6,27% dell’altro ieri. Servono fatti concreti, insomma. La classe politica regionale, per citare un recente appello dei vescovi calabresi, deve saper riscoprire «competenza e servizio», «lungimiranza e onestà». Solo così potrà riuscire a infondere negli elettori una rinnovata fiducia nella buona amministrazione, capace di seminare bene e pertanto di raccogliere riconferme. L’invito vale per la presidente Santelli, ma anche per le altre giunte, grandi e piccole, di ogni segno e colore, presenti in regione. E vale per il Governo centrale che non potrà e non dovrà fare a meno di attivare tutte le possibili sinergie con le istituzioni locali. La questione della Calabria è la questione dell’Italia. E i calabresi meritano una stagione nuova d’impegno, trasparenza e responsabilità, che li scuota da questo limbo di amara rassegnazione e li aiuti a ricostruire il futuro.
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