giovedì 23 febbraio 2023
Il presidente Hassan Sheik Mohamud vuole pacificare il Paese liberandolo dai jihadisti con la forza e sostenendo lo sviluppo. Fame e siccità sono un problema, come la corruzione
Il Presidente della Repubblica Federale di Somalia, Hassan Sheikh Mohamud interviene al meeting organizzato alla Luiss a Roma

Il Presidente della Repubblica Federale di Somalia, Hassan Sheikh Mohamud interviene al meeting organizzato alla Luiss a Roma - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Interessi reciproci, legami storici da rafforzare che comprendono anche scandali, delitti irrisolti e misteri. Ma tra Italia e Somalia c’è voglia di ricominciare insieme. Del resto, che si muova in nome del non chiarissimo “piano Mattei” lanciato dal governo Meloni o nell’ambito del “Mediterraneo allargato” un po’ ambiguo di cui parla Med-or, la fondazione culturale di Leonardo Finmeccanica guidata dal già ministro degli Interni Marco Minniti, l’Italia vuole rilanciarsi nel tormentato Corno d’Africa, a partire dall’ex colonia che guidò fino al 1960 in Amministrazione fiduciaria. Il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud ha effettuato a Roma una lunga visita di Stato preceduta da un’efficace campagna di stampa innescata dal quotidiano internazionale “The Guardian” che ha ribadito la sua ferma intenzione di pacificare il paese eliminando i terroristi islamici di Al Shabaab.

La nuova immagine internazionale del leader somalo, rieletto democraticamente lo scorso giugno dopo un primo mandato dal 2012 al 2017 – del quale non si conserva in verità una grande memoria di lotta al terrorismo jihadista – è quella dell’uomo forte intenzionato a mantenere le promesse elettorali di pacificazione nazionale liberando il paese dal cancro jihadista che da oltre 25 anni controlla diverse aree centro meridionali e colpisce spesso la capitale. Gli Usa e i governi europei hanno dato per ora fiducia a questo professore di inglese mai uscito da Mogadiscio anche quando lo stato è crollato. Dal punto di vista religioso si presenta abilmente come islamico moderato, anche se non è un sufi, ma ha forti legami con i Fratelli musulmani. E dopo aver nominato, tra le polemiche, come ministro per gli affari religiosi Mukhtar Robow, co-fondatore ed ex portavoce del gruppo armato, sta premendo sui leader religiosi per smontare le interpretazioni dell’islam fatte dagli estremisti. Inoltre, con l’offensiva lanciata a gennaio dopo una adunata popolare allo stadio di Mogadiscio ha liberato città e territori. Secondo il sito Africa report, sarebbero stati uccisi almeno 2.000 terroristi. Poiché si stima che gli effettivi di Al Shabaab siano 8-10mila, sarebbe un notevole successo. Tuttavia, non sarà semplice sconfiggerli. Non si è fatta infatti attendere la reazione di Al Shabaab, tuttora ben radicata nella società clanica somala come nei gangli del potere, che ha colpito ripetutamente la capitale e alcuni palazzi del potere provocando decine di vittime innocenti.

In una conferenza organizzata venerdì 9 febbraio a Roma alla Luiss, cui hanno preso parte il ministro degli Esteri Antonio Tajani, quello degli interni Matteo Piantedosi e della difesa Guido Crosetto, il presidente somalo ha ribadito che il 2023 sarà l’anno chiave nella lotta al terrorismo anche perché nel 2024 il Consiglio di sicurezza Onu ha deciso di ritirare il contingente della missione internazionale militare Atmis. Al presidente servono, secondo gli esperti, 24 mila nuovi soldati che ha bisogno di formare e armare. La presenza del ministro degli Esteri italiano e del ministro della difesa Crosetto confermano che durante la lunga visita romana sono stati implementati gli accordi di cooperazione della difesa e per l’addestramento delle forze armate somale.

Ma a Roma non si è parlato solo di guerra e armi. « La Somalia è una porta d’accesso all’Africa, ma anche verso il Medio Oriente. Un centro strategico pieno di opportunità, sebbene problemi di sicurezza come quello terroristico legato ad al Shabaab ne complichino e intralcino lo sviluppo», ha detto Hassan Sheikh alla Luiss, chiamando il settore privato italiano a contribuire allo sviluppo di nuove opportunità in agricoltura, pesca e costruzioni. Se dunque si vuole ricominciare, quale ruolo può svolgere l’Italia in Somalia nel 2023? Salvatore Mancuso, docente di Scienze politiche e relazioni internazionali all’università di Palermo, nell’ambito di un progetto di cooperazione con l’università nazionale somala è visiting professor all’ateneo di Mogadiscio. «Credo – afferma – che la Somalia stia ottenendo risultati interessanti nella lotta al terrorismo. Aldilà degli aspetti militari, è importante che abbia capito che occorre puntare sull’istruzione e sulla creazione di nuove start up con le imprese locali per offrire alternative ai giovani. L’Italia può avere un ruolo fondamentale attraverso la cooperazione con iniziative magari protette in una fase iniziale». L’economia ha urgente bisogno di risollevarsi con il 70% di somali che sopravvivono sotto la soglia di povertà e il 40% del Pil determinato dalle rimesse della diaspora. L’Italia si è impegnata a rafforzare la cooperazione economica convocando un business forum a Mogadiscio e rafforzando i programmi di formazione.


In questo momento si prospetta la più grave carestia della storia somala con sei stagioni delle piogge saltate e una emergenza umanitaria gravissima

Tuttavia, altre criticità non vanno scordate perché fondamentali per lo sviluppo. Ad esempio, occorre allocare efficacemente gli aiuti alla gente ridotta alla fame, investendo nella lotta alla terribile siccità provocata dai mutamenti climatici e aggravata dall’aumento dei prezzi di cereali e fertilizzanti dovuti alla guerra in Ucraina. Si prospetta la più grave carestia della storia somala con sei stagioni delle piogge saltate e una emergenza umanitaria gravissima. La situazione potrebbe essere peggiore della carestia del 2011 quando morirono 250.000 persone almeno, la metà dei quali bambini. Circa sette milioni di persone, quasi la metà della popolazione, senza accesso all’acqua e i servizi igienici si sono già messe in movimento per cercare sostentamento nei campi di accoglienza. Ma nel 2011 la corruzione dilagante di molti notabili dei clan e Al Shabaab provocarono il furto della metà degli aiuti Onu e internazionali, togliendoli alla popolazione, determinando improvvisi arricchimenti e aggravando le condizioni umanitarie degli ultimi.


Il 70% della popolazione sopravvive sotto la soglia di povertà e il 40% del Pil è determinato dalle rimesse della diaspora

Non è cambiato molto finora, l’indice per il 2022 di Trasparency International assegna la maglia nera per la corruzione globale proprio alla Somalia, imprigionata in quel circolo vizioso che vede la corruzione esplodere dove c’è la guerra. La corruzione è definita da Trasparency “rampante”, tuttavia i pubblici rappresentanti continuano a ignorare il problema e lo stesso Hassan Sheikh Mohamud a ottobre ha chiuso due organismi di vigilanza. Occorrerà drizzare le antenne, per evitare il bis degli scandali made in Italy, da quello delle banane somale degli anni 50, della pesca e della cooperazione negli anni Ottanta. E naturalmente resta sempre da chiarire l’omicidio del vescovo martire di Mogadiscio, Salvatore Colombo, e poi dei due giornalisti Rai Ilaria Alpi e di Milan Hrovatin e della volontaria Caritas Graziella Fumagalli. Per questo bisogna premere sul governo somalo per rispettare la libertà di informazione, altro buco nero, ma indispensabile – come ribadito dalla missione Atmis in un convegno dei giornalisti somali tenutosi tre mesi fa a Mogadiscio – per costruire la pace e far crescere la democrazia.

Secondo Reporter senza Frontiere, la Somalia occupa il 140° posto su 180 paesi riguardo a libertà di stampa e il clima per i media somali è tradizionalmente tra quelli estremamente più ostili e instabili. Roma può fare di più? « Dopo che i somali sono stati definiti fratelli dai ministri alla Luiss – commenta la giornalista Italo somala Shukri Said che conduce su Radio Radicale la rubrica Africa oggi – perché non aumentare gli arrivi regolari dalla Somalia con un decreto flussi mirato? Potrebbe dare impulso non solo alle relazioni con la futura classe dirigente e imprenditoriale che conoscerà l’Italia e parlerà l’italiano, ma anche allo sviluppo del paese».

La società civile è comunque stufa e vuole cambiare. « I somali – conclude Salvatore Mancuso – hanno voglia di pace e serenità e tutto quello che può portarle è benvenuto». Dopo 30 anni di latitanza tricolore, hanno voglia di Italia e fiducia nel nostro paese forse più di quanta ne abbiano gli italiani stessi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI