venerdì 4 ottobre 2013
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Spesa al supermercato al Portello di Milano, in uno di quei posti pieni di gente, di offerte e di servizi di ogni genere, finanche la farmacia. E poi le offerte che abbondano in ogni angolo, con sconti e convenienze. La gente ci viene a frotte, anche la domenica, mentre i negozi chiudono, dicono le statistiche della Confcommercio: Roma è la città che più soffre, mentre i locali della movida a Milano hanno segnato un calo a due cifre. Mi hanno fatto notare che persino gli Esselunga che la gente preferisce sono gli iper, rispetto a quelli tradizionali: troppo piccoli, non più attuali. Vai a vedere che ci stiamo americanizzando, nell’immaginario delle dimensioni. O forse la gente cerca un luogo dove apparentemente gli sembra di relazionarsi. E fra un supermercato con bar e tavolini e uno dove c’è solo lo spazio per fare la spesa, preferisce il primo.Il centro commerciale simula il benessere: ci vai anche se non hai i soldi per fare la spesa. Nel negozio non ci entri neppure. A meno che non ricomincino a fare credito, come ai tempi di guerra. Come sopravviverà il negozio di quartiere o di paese? Con due armi: il servizio (dalla consegna a domicilio alle offerte) o la qualità estrema (pensiamo a certe panetterie o macellerie che hanno scelto una strada di distinzione e di racconto di come utilizzano certe materie prime). Ma sarebbe anche interessante far partire quel modello di collaborazione fra professionalità della campagna e della città che due anni or sono a Milano fu lanciato sotto il nome de «l’idea del cavolo»: aziende agricole adottate dai negozi di quartiere, per portare in città i prodotti di stagione appena colti. Del resto, per trovare un fruttivendolo bisogna girare parecchio, anche in una grande città: difficile da gestire il reparto del fresco, disertato sempre di più da acquirenti che vanno ai mercati rionali o nei soliti iper dove trovi di tutto. E ti accontenti.E qui sorge un problema: come si farà a seguire quella dieta vegetariana per tutti? È l’iniziativa che proprio oggi viene celebrata con una giornata ad hoc, onorevole Brambilla in testa, che ha presentato un disegno di legge per garantire menu vegetariani e vegani in tutte le mense. Ma intanto da Milano giunge l’eco del rifiuto dei bambini delle scuole materne ed elementari per quel menu vegano servito in via sperimentale il 1° ottobre. I piatti (pieni) sarebbero finiti nella spazzatura. E in più, in un’insalata, sarebbero spuntati due lombrichi vivi. Veronesi, Fiorucci e il cuoco vegetariano Pietro Leemann difendono il consumo verde, ma parlano anche di educazione alimentare, che non è esattamente imposizione alimentare. L’educazione serve per comprendere una convenienza, e già l’esercito dei vegetariani convinti, in Italia, sarebbe salito al 6%. Un passo alla volta, allora, perché nel cibo come in tutto il resto le ideologie non pagano, anzi, possono diventare un boomerang. ​​​
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