Famiglie e giusta solidarietà, si fa presto a dire «75mila»
martedì 7 dicembre 2021

Questa settimana l’istituto nazionale di statistica diffonderà una nuova carrellata di dati preoccupanti riguardo le prospettive demografiche del Paese. Nel 2021 le nascite scenderanno per la prima volta sotto le 400mila unità, anche per effetto della pandemia, e per un giorno torneremo a chiederci come faremo tra qualche anno a pagare le pensioni, la sanità, i 'bonus' fiscali, e molto altro, con sempre meno popolazione in età da lavoro e sempre più persone a riposo. Poi tutto tornerà come prima e l’orchestra della nave ricomincerà a suonare la musica delle riforme per rilanciare il Paese, dimenticandosi della vera causa di gran parte delle nostre difficoltà: lo squilibrio tra le generazioni.

Un modo in più per capire come mai in Italia sia così difficile nascere o diventare genitori può essere guardare al dibattito, attualissimo, che si è aperto attorno al 'contributo di solidarietà' proposto per contenere l’aumento delle bollette elettriche a beneficio soprattutto dei più poveri. L’idea, bloccata da alcune forze politiche, era quella di congelare per due anni, ai soli contribuenti che dichiarano più di 75mila euro lordi annui, il piccolo sconto che si otterrebbe con la prevista rimodulazione delle aliquote fiscali. La riforma dell’Irpef prevede infatti un ridisegno della tassazione che alleggerirà il carico a tutte le fasce di reddito, a quelle povere, ma in particolare a quelle storicamente più penalizzate, tra i 40 e i 50mila euro di reddito, mentre ai contribuenti maggiori resterà un vantaggio di circa 90 euro l’anno. La proposta di un contributo di solidarietà, prima ipotizzato e poi rientrato, ha aperto un intenso dibattito sull’equità della misura.

Chi la difende sostiene, a ragione, che sopra i 75mila euro, cioè circa 3.400 euro al mese, si può benissimo rinunciare a pochi euro di sconto per aiutare chi sta peggio a pagare le bollette; chi si oppone argomenta che la vera ricchezza non risiede necessariamente qui o che non si debba penalizzare chi già paga molte tasse. Immaginare un contributo di solidarietà in questa fase storica, a carico di chi ha molto di più, è giusto. La cosa sorprendente, tuttavia, capace di spiegare molte cose, è che nessuno si è posto il problema di quante persone siano mantenute dai redditi di cui si sta parlando. Nel grande scontro attorno all’equità di una misura che riguarda il ceto medio, il tema dei figli a carico non è venuto in mente ad alcuno. Eppure, ci dovrebbe essere una grande differenza tra chiedere un sacrificio anche simbolico a una coppia di genitori con uno, due, tre, quattro o più figli, che ha pure entrate di ben 3.500 euro al mese, e sollecitarlo invece a un single che di euro ne guadagna al netto 3.000, o 2.500, o 2.000, oppure a una coppia con uno o due redditi da 40-50-60mila euro annui e nessun figlio a carico, fossero anche pensionati.

La difficoltà che in Italia incontra chi diventa genitore, dal punto di vista economico e fiscale, può essere ben riassunta con questa banale ma pesantissima e tipica disattenzione. Il fisco italiano è e resterà su base individuale. Ogni tipo di agevolazione è sempre andata, e continuerà a essere corrisposta, al cittadino inteso come singolo. Il nuovo assegno unico per i figli ha esteso finalmente agli autonomi e ai disoccupati i benefici che erano previsti per i lavoratori dipendenti con redditi medio bassi, ma ha lasciato irrisolto il tema dell’equità fiscale in senso orizzontale, cioè tra chi paga le tasse e ha familiari a carico e chi non ne ha.

Ma, che si parli di fisco o di assegno, questo approccio è iniquo e scorretto. Oggi dovremmo incominciare a chiederci se ha ancora senso parlare di equità trascurando di distinguere tra genitori e no; se si può discorrere di solidarietà quando non si riescono a pesare veramente i livelli di benessere e gli stili di vita alla luce dei carichi famigliari e della fatica di educare e crescere i cittadini di domani; o, ancora, se è giusto che l’opera di redistribuzione lasci sempre una sensazione di amaro in bocca perché si accetta in partenza che nelle dichiarazioni più leggere, insieme alla vera povertà, si nasconde tanta ricchezza occultata al fisco, o case, proprietà, terreni, capitali, patrimoni che difficilmente vengono posti sul piatto della bilancia in modo adeguato. Per questo sarebbe importante che dopo la preoccupazione di rito che sarà espressa alla diffusione dei prossimi dati demografici, si provasse a pensare a un cambio di approccio culturale capace di ribaltare lo sguardo su tutte le riforme a venire. Immaginare ad esempio una sorta di 'clausola di salvaguardia' per la famiglia, un 'programma di protezione' dei genitori, una 'valutazione dell’impatto' da prevedere per le misure che possono ricadere sui nuclei con prole. Qualcosa, cioè, che cominci finalmente a mettere al riparo le coppie con figli, alla stregua di una specie protetta, di fronte a tutti quelli interventi che rischiano di erodere veramente la fiducia e le possibilità di un futuro sostenibile.

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