giovedì 19 ottobre 2023
In questo grande Paese che sembra tanto ricco, dice don Beniamino Resta, «nella realtà si soffre la fame, in periferia l’unica ricchezza è la povertà!»
Un parroco in Brasile, tra i nuovi schiavi dai salari bassissimi

Don Beniamino Resta, fidei donum di Avezzano, lavora ed è parroco a Itaquaquecetuba, 70 mila persone, una delle mille periferie di San Paolo del Brasile. «Cuori ardenti piedi in cammino significa lasciare che il Signore ci scaldi sempre più il cuore per non abbatterci davanti a tante situazioni di ingiustizia sociale prima che di miseria e cercare di aprire il cuore dalla Parola di Dio per stare a fianco di uomini e donne nuovi schiavi del terzo millennio».

Nel Brasile che sembra tanto ricco, continua don Beniamino, «nella realtà si soffre la fame, in periferia l’unica ricchezza è la povertà!» Nella sua parrocchia i laici e le associazioni sfornano ogni giorno 200 pasti caldi per i poveri e aiutano le famiglie con 500 ceste basiche mensili.

Continua don Beniamino nel video: «Qui nella comunità di Santa Lucia sono tutti paraguaiani, sono qui per lavorare. Sono sarti, cuciono pezzi di pantaloni, di camicie e di intimo per ripassali alle industrie.

Per ogni pezzo guadagnano 30 centesimi di reais (5 centesimi di euro). Lavorano notte e giorno, devono cucire tantissimi pezzi ogni giorno per sbarcare il lunario. E’ lavoro schiavo, indubbiamente! La schiavitù in Brasile è stata abolita nel 1854, ma oggi c’è una nuova schiavitù, quella dei salari bassissimi. 1320 reais il salario minimo, pari a 250 euro.

Una baracca in affitto qui a Itaquaquecetuba costa 600 reais al mese, per spostarsi verso il centro di san Paolo in cerca di lavoro (tre ore tra autobus e treno e altrettante per il ritorno) ne servono almeno altri 20 al giorno: non rimane nulla. E la gente in queste periferie soffre la fame!».

Fare il missionario oggi: «Vent’anni fa le persone cercavano il prete e la chiesa. Oggi nessuno ci cerca, nessuno viene più in chiesa, vicina o lontana che sia. Dobbiamo essere noi ad andare dalla gente, creando relazioni e comunità per celebrare, ma anche per dare possibilità di incontrarsi, altrimenti tutti si rinchiudono nelle loro povere case, nei loro problemi. Noi non risolviamo i loro problemi di lavoro, di casa, di salute, ma ci siamo, e camminiamo con la gente, parlando di Gesù, portando speranza sulle strade di questo mondo troppo ingiusto».

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