Un anno dopo la rielezione di Trump l'America si scopre più “indifesa”
di Elena Molinari, New York
Il tycoon ha ridefinito il ruolo della presidenza allargandone il raggio d’azione e trasformato l’opposizione in un nemico interno. Cosa sta succedendo

È passato un anno dalla vittoria elettorale che ha riportato Donald Trump alla Casa Bianca e quella data può essere già considerata un punto di svolta nella storia istituzionale degli Stati Uniti.
Tra misure visibili, tattiche sotterranee e un uso sempre più audace dell’autorità esecutiva, l’ex magnate dell’immobiliare ha ridefinito il ruolo della presidenza, allargando il suo raggio d’azione in patria e all’estero. All’interno, Trump ha fatto ricorso a una progressiva militarizzazione dell’esecutivo e a un uso strumentale del dipartimento della Giustizia. La mobilitazione della Guardia nazionale e di agenti federali in città amministrate da democratici — come Washington , Chicago, Los Angeles e New York —, anche se in alcuni casi è stata dichiarata illegale, ha mandato un segnale chiaro all’opposizione: l’Amministrazione li considera “il nemico interno” ed è disposta ad agire di conseguenza.
L’aggressività dell’Ice, il braccio dell’agenzia per i confini e l’immigrazione, nell’arrestare e detenere immigrati anche appartenenti a categorie protette ha confermato che la Casa Bianca non esita a usare la maniere forti per ottenere i suoi obiettivi politici, sociali ed economici, attingendo alla motivazione della “sicurezza interna”. Il ricorso a truppe federali nelle città solleva non solo questioni di ordine pubblico, ma anche di sovranità nazionale ed equilibrio dei poteri: le mosse di Trump hanno infatti scardinato il confine tradizionale tra il controllo federale e l’autonomia statale.
Internamente, l’accumulo di potere è passato anche attraverso l’utilizzo dell’apparato giudiziario. Tre casi recenti sono emblematici: Trump ha chiesto e ha ottenuto dal ministero alla Giustizia indagini contro l’ex direttore del Fbi James Comey, contro la procuratrice generale di New York Letitia James e contro John Bolton. I primi due avevano incriminato Trump, il terzo l’ha criticato. Il candidato che si era presentato come vittima dello “Stato profondo” sta dunque scagliando il potere del governo contro i propri oppositori — che potrebbero non essere del tutto innocenti, ma che, come lo stesso Trump ha ammesso, sono stati presi di mira come punizione in un modo che mina l’indipendenza giudiziaria.
All’interno del governo federale, la riorganizzazione di Trump è stata sistematica. Il settore anticorruzione del dipartimento della Giustizia è stato decimato e le sue prerogative di avviare nuove azioni investigative sospese. In contemporanea, la ministra della Giustizia, Pam Bondi, ha costituito il “Weaponization Working Group”, il gruppo di lavoro per l’uso del ministero come “arma,” incaricato di controllare le inchieste avviate contro Trump prima della sua rielezione e contro i suoi alleati.








Una freccia che si è aggiunta di recente nell’arsenale di Trump è lo shutdown del governo federale, scattato il 1° ottobre dopo il disaccordo del Congresso sulla legge di bilancio e tuttora in corso. Da cinque settimane centinaia di migliaia di dipendenti essenziali lavorano senza stipendio, le sovvenzioni per le assicurazioni sanitarie sono sospese e il programma per l’assistenza alimentare è in stallo. Ma anche la crisi di bilancio è diventata uno strumento politico. Trump ha trasformato il blocco in leva negoziale che mostra quanto l’esecutivo possa condizionare servizi pubblici fondamentali senza dover passare per il Congresso: «Il governo può fermarsi, ma il presidente resta», ha detto.
Nello stesso filone rientrano le misure nell’ambito della libertà di espressione e della ricerca scientifica: l’Amministrazione ha messo in discussione i prestiti agli studenti universitari, imposto controlli ideologici alle università in cambio di sovvenzioni e minacciato sanzioni contro media e istituzioni accademiche che non si conformano alla sua linea politica. Come sottolinea il sociologo David Smith dell’Università del Kansas, il territorio domestico ha assunto la logica del fronte.
Se molti osservatori sono allarmati, una parte consistente del pubblico statunitense, i sostenitori del movimento Maga, ha accolto questa concentrazione di potere come una vittoria contro il mondo “woke”, “liberal” e progressista.
Tuttavia, alcune delle misure adottate da Trump, dai licenziamenti nei tribunali federali alle interruzioni dei servizi pubblici, fino all’eliminazione dei buoni pasto e degli aiuti assicurativi, avranno effetti negativi anche per la base elettorale del tycoon. Resta da vedere se l’universo Maga riconoscerà che il declino del proprio tenore di vita è da attribuire agli strumenti di supremazia politica adottati dal leader.
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