Tajani: «Si lavora per liberare Cecilia Sala». Ipotesi ritorsione di Teheran

Prende sempre più corpo l’ipotesi della ritorsione per l’arresto a Malpensa di un iraniano su richiesta degli Stati Uniti, che ora esigono l’estradizione. A Milano indagine conoscitiva
December 27, 2024
Tajani: «Si lavora per liberare Cecilia Sala». Ipotesi ritorsione di Teheran
ANSA | undefined
Prende corpo l’ipotesi della ritorsione. Dietro l’arresto a Teheran della giornalista Cecilia Sala potrebbe esserci l’identico provvedimento scattato tre giorni prima a Malpensa nei confronti di un iraniano. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha confermato che «c’è un detenuto svizzero iraniano che è stato arrestato a Malpensa prima di Cecilia Sala a Teheran perché c’era un mandato di cattura internazionale emesso dagli Usa. Il detenuto, essendo non ancora condannato, è trattato con tutte le regole di garanzia che dobbiamo dare – ha puntualizzato –. Ha ricevuto visita consolare e il suo avvocato ha avuto la possibilità di conoscere i capi d’imputazione che vengono da un mandato di cattura internazionale, non è una scelta italiana: l’Italia non è competente per il procedimento penale di questo iraniano. Poi si vedrà l’estradizione. Per il momento è trattenuto in carcere con tutte le garanzie che spettano a un detenuto non italiano».
Nelle parole di Tajani è implicita la richiesta di identiche condizioni per Sala. «Mi pare che ci sia, come ha visto l'ambasciatrice, un trattamento rispettoso della dignità della persona», ha commentato. «Continueremo a verificarlo con le visite consolari, al momento non abbiamo avuto segnali negativi. È detenuta, ovviamente, quindi non è una condizione ideale. Però viene nutrita e non parlerei di isolamento. È in buona salute, è in una cella da sola, a differenza della giovane Alessia Piperno (la blogger rimasta per 45 giorni nel carcere di Evin nel 2022, ndr) che invece era in cella con altre persone che non parlavano nessuna lingua se non la loro». «Noi stiamo lavorando per liberare Cecilia Sala. È inutile che si facciano dietrologie» ha ammonito Tajani. «L'importante è che torni a casa il prima possibile grazie al lavoro della diplomazia con la collaborazione tra presidenza del Consiglio e ministero degli Esteri». Sui tempi non si sbilancia: «Non dipende da noi». E definisce la questione «complicata». «Lavoriamo in perfetta sintonia con la famiglia – ha detto in Senato – e insieme alla famiglia il governo chiede discrezione e riservatezza per una trattativa che deve essere diplomatica».
A differenza dell’iraniano di 38 anni che, dal 16 dicembre, è in carcere con l’accusa di associazione a delinquere con finalità di terrorismo, per la 29enne giornalista di Chora Media e collaboratrice del Foglio si ignorano i capi d’imputazione. «Ancora non abbiamo i capi d’accusa perché l’avvocato dell’ambasciata non ha ancora avuto la possibilità di farle visita in carcere – ha informato Tajani –. Speriamo possa farla nei prossimi giorni». Dal 19 dicembre, quando è stata prelevata in albergo e condotta nel carcere di Evin, a Sala sono state concesse solo due brevi telefonate ai familiari. Il nono giorno, venerdì, ha ricevuto la visita di mezz’ora dell’ambasciatrice Paola Amadei.
Nei tre podcast inviati dall’Iran, intervistando due giovani donne critiche della legge sul velo e uno storico esponente delle Guardie della rivoluzione, Sala non aveva attaccato le autorità. Aveva anzi rilevato possibili aperture del nuovo presidente Masoud Pezeshkian, considerato un moderato, alle richieste delle donne e dei giovani. Entrata con regolare visto giornalistico, aveva raccolto il materiale per diverse Stories (questo il titolo del suo podcast). Il direttore dell’organizzazione Reporter senza frontiere (Rsf), Thibaut Bruttin, ha denunciato come «arbitrario» l’arresto e ha espresso preoccupazione per le condizioni di detenzione nella prigione di Evin utilizzata dal regime per reprimere «voci libere e critiche».
Sulle modalità dell’arresto dell’iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, bloccato a Malpensa su ordine della giustizia americana subito dopo essere atterrato da Istanbul, la Procura di Milano ha aperto un fascicolo senza indagati né titolo di reato. Per lui, ieri, è arrivata intanto da Washington la richiesta di estradizione su cui dovrà esprimersi la Corte d’Appello milanese. L'indagine potrebbe riguardare i tempi stretti intercorsi tra l’emissione del mandato di arresto ai fini di estradizione, datato 13 dicembre, e il fermo avvenuto meno di tre giorni dopo. «Il mio assistito respinge le accuse, non capisce i motivi dell’arresto e la sua posizione è meno grave di quanto sembra» ha detto l’avvocato Alfredo De Francesco. Quanto a un possibile nesso con il caso della giornalista, «mi sembrano cose che non si possono né dire né affermare» si è limitato ad aggiungere.
Gli Usa avranno tempo fino a fine gennaio per inviare alla Corte d’Appello di Milano gli atti a corredo della richiesta di estradizione. Se i documenti non arriveranno entro i 40 giorni dalla convalida del fermo, la misura perderà efficacia e l’uomo dovrà essere rilasciato.

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