Sì alla pubblicazione dei file su Epstein, cosa succede ora
Il provvedimento del Congresso Usa che autorizza il Dipartimento di Giustizia alla condivisione dei documenti sul finanziere pedofilo arriva oggi sulla scrivania di Trump

Il Congresso americano ha votato quasi all’unanimità la legge che autorizza il Dipartimento di Giustizia alla divulgazione dei documenti non classificati relativi al pedofilo Jeffrey Epstein, morto in carcere nel 2019, accusato di aver organizzato per un giro di prostituzione minorile per uomini ricchi e potenti. Il provvedimento, passato ai Rappresentanti con un 427 voti a favore e solo uno contro, quello del deputato repubblicano Clay Higgins, dovrebbe arrivare in giornata sulla scrivania di Donald Trump per la firma.
Il caso rappresenta da mesi una spina nel fianco del presidente che, così lasciano intendere alcuni stralci dei documenti già diffusi, sarebbe stato amico del finanziere e avrebbe fatto parte del suo giro. Circostanza confermata in parte dallo stesso Trump secondo cui, sì, ha partecipato alle sue feste negli anni ’90 ma ha poi interrotto i rapporti. I dettagli della corrispondenza tra Epstein e i suoi amici lo hanno però smentito. Molti elettori del mondo «Maga» (Make America Great Again) hanno cominciato a credere che il tycoon abbia mentito e che la sua amministrazione lo abbia aiutato a insabbiare le prove. Trump, irritato, ha gridato a una bufala organizzata dalla Russia e, finché ha potuto, si è opposto alla divulgazione del fascicolo. Poi, però, ha dovuto cedere agli appelli alla trasparenza di molti dei suoi stessi deputati. Thomas Massie, del Kentucky, ha accusato il Dipartimento di Giustizia di «proteggere pedofili e trafficanti di esseri umani». A favore della pubblicazione dei file si è fortemente spesa persino la fervente trumpiana Marjorie Taylor Greene, della Georgia, che ha poi raccontato di aver subito pressioni dalla Casa Bianca affinché rinunciasse alle sue rivendicazioni. Trump l’ha pubblicamente definita «una traditrice».
Il presidente continua a dirsi estraneo al «giro Epstein». Martedì, in una conferenza stampa, ha ricordato di averlo cacciato dal suo club, molti anni fa, perché lo riteneva «un pervertito malato». La bufera mediatica che si è scatenata ha avuto un impatto negativo sul suo indice di gradimento, sceso al livello più basso dell’anno. Secondo un sondaggio Reuters/Ipsos, un elettore su cinque approvava la gestione del caso da parte del presidente. Lo speaker della Camera Mike Johnson ha lasciato chiaramente intendere che il voto a favore della pubblicazione del dossier è stato una scelta obbligata, necessaria a evitare le ricadute politiche di un voto contrario. «Nessuno vuole essere messo a verbale, e in qualche modo accusato, per non essere a favore della massima trasparenza», ha detto. Molti, adesso, si chiedono se il Dipartimento di Giustizia renderà davvero pubblici tutti i file o se ne secreterà alcuni. La saga continua.
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