Perché Cina e Giappone sono (di nuovo) ai ferri corti
di Luca Miele
Ad accendere le polemiche le affermazioni della premier giapponese Sanae Takaichi: in caso di attacco cinese a Taiwan, Tokyo sarebbe coinvolta. Dura la reazione di Pechino

Sembrava l’inizio di una nuova, incoraggiante, stagione. Prima la visita a Pechino dello scorso Natale, dell’allora ministro degli Esteri giapponese Takeshi Iwaya, “il primo in 20 mesi a sbarcare in Cina”, con tanto di faccia a faccia con il premier cinese, Li Qiang e il ministro degli Esteri, Wang Yi. Poi, lo scorso marzo, il bis, questa volta a Tokyo: in campo ancora Takeshi Iwaya e i suoi omologhi cinese Wang Yi e sudcoreano Cho Tae-yul. L’obiettivo del meeting: tracciare una agenda comune su una serie di dossier, dalla denuclearizzazione della Penisola coreana a questioni comuni che "tagliano" i tre Paesi, come l'invecchiamento e i bassi tassi di natalità. La parola che sotterraneamente scorreva era “normalizzazione” nei rapporti tra Cina e Giappone. Ebbene quella (breve) stagione di disgelo è già finita. Rovinosamente. A poco è servita la stretta di mano tra il nuovo primo ministro giapponese Sanae Takaichi e il presidente cinese Xi Jinping, al margine del vertice Apec a fine ottobre. D’altronde che l’insediamento della “Lady di ferro” nipponica avrebbe rimescolato le carte, congedando i modi felpati del suo predecessore Shigeru Ishiba, era stato ampiamente previsto dagli analisti. Per i quali era solo una questione di tempo. Sanae Takaichi non ha mai nascosto di desiderare un allineamento totale con gli Usa in chiave anti-cinese.
La pietra dello scandalo non poteva che essere l’annoso (e drammatico) dossier Taiwan. Venerdì scorso, davanti al Parlamento giapponese, la premier ha detto che un eventuale attacco cinese a Taiwan sarebbe considerato "una situazione che minaccia la sopravvivenza del Giappone" e potrebbe così innescare una risposta militare da parte di Tokyo. Parole decisamente urticanti per Pechino. Come rimarca la Cnn, “i precedenti leader giapponesi hanno evitato di discutere di Taiwan nel contesto di una risposta militare. E la stessa Washington rimane deliberatamente vaga su come reagirebbe a un'ipotetica invasione, una politica nota come "ambiguità strategica"”. La reazione cinese è stata veemente. E, in alcuni casi, scomposta. “Il collo sporco che si infila nei guai deve essere tagliato", ha scritto il console generale cinese a Osaka, Xue Jian, in un post su X, poi cancellato. La contro replica di Tokyo non si è fatta attendere, bollando il post come “estremamente inappropriato”. Le polemiche sono tutt’altro che spente. Il People's Daily è entrato a gamba tesa: "Nessuno dovrebbe illudersi di poter oltrepassare il limite sulla questione di Taiwan senza pagarne il prezzo", ha scritto. Da parte sua il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lin Jian ha polemicamente chiesto alla leadership giapponese “in quale direzione intenda orientare le relazioni Cina-Giappone”. "Il Giappone è pronto a sfidare gli interessi fondamentali della Cina e a fermarne la riunificazione?", ha rincarato.
Il nuovo tsunami rischia di abbattersi anche sulle relazioni economiche tra i due Paesi asiatici? Relazioni, che nonostante le tempeste periodiche, sono solide. Il commercio bilaterale tra i due Paesi ha raggiunto quota 292,6 miliardi di dollari nel 2024. “Dalla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Cina e Giappone – sottolinea il Global Times -, il commercio bilaterale è aumentato di oltre 300 volte e si è mantenuto a un livello elevato di 300 miliardi di dollari per 15 anni consecutivi”. Una cosa è certa. Come scrive il sito di analisi Modern Diplomacy, “le intricate dinamiche tra Giappone e Cina formano una rete complessa caratterizzata da conflitti storici, interdipendenza economica e rivalità geopolitica”.
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