venerdì 16 aprile 2010
Il colonnello Guidi dell’Aeronautica Militare: «Lo schermo che le polveri oppongono al passaggio dei raggi solari provoca un raffreddamento». Il professore Panza:  non cambia la quantità  di CO2 nell’atmosfera.
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Si stima che ci siano circa 600 vulcani in attività, per emissioni di anidride carbonica stimate a oltre 130 milioni di tonnellate (poco meno di un terzo di quanto emette l’Italia). «Ma un’eruzione come quella islandese non cambia il bilancio complessivo – dice Giuliano F. Panza, dell’Istituto Nazionale di Oceaonografia e Geofisica dell’Università di Trieste e membro dell’Accademia dei Lincei – perché la quantità di gas sparati in atmosfera da un vulcano è la stessa sia che li rilasci nel tempo sia che lo faccia tutto insieme. Ogni vulcano – spiega Panza – è come avesse un badget di CO2; quando non erutta continua comunque a emettere anidride carbonica in modo silenzioso; l’eruzione cambia soltanto la rapidità del rilascio». Quindi – a prescindere dall’importanza che si dà al fattore CO2 per la determinazione del clima – il contributo dei vulcani è costante. «La vera incidenza sul clima è invece diretta, causata dal particolato che viene sparato – prosegue Panza – ma ci sono molti fattori da considerare: ovviamente la potenza e la durata dell’eruzione»: basti pensare che mentre l’eruzione del Pinatubo (Filippine) nel 1991 durò pochi giorni, una precedente eruzione in Islanda nel 1783 (il vulcano Laki) andò avanti per otto mesi. «Ma è molto importante anche il luogo dove l’eruzione avviene», prosegue Panza: «L’effetto su scala planetaria tende a diminuire man mano che ci si allontana dall’equatore perché la circolazione atmosferica va dall’equatore verso i poli. Per questo, ammesso che ci fosse parità di potenza e durata, sul clima globale avrebbe più effetti l’eruzione del Pinatubo rispetto a quella di un vulcano islandese». «Anche la stagione in cui avviene l’eruzione ha la sua importanza», aggiunge Guido Guidi, colonnello dell’Aeronautica Militare e responsabile del sito Climate Monitor: «Nelle zone tropicali il raffreddamento si registra soltanto nella stagione estiva, mentre nel caso dell’Alaska e dell’Islanda avviene anche nella stagione invernale».In ogni caso «l’effetto sul clima è quello di un raffreddamento – prosegue Guidi – a causa dello schermo che le polveri oppongono al passaggio dei raggi solari». Di quale entità è il raffreddamento e quanto può durare? «In genere l’effetto raffreddamento è di breve durata, si esaurisce in uno-due anni – dice Guidi –. Ma è chiaro che anche questo dipende da potenza e durata dell’eruzione. Se la cenere sale oltre i 20mila metri, ovvero entra nella stratosfera, l’effetto è di più lunga durata, minore se la cenere resta nella troposfera». Nella storia degli ultimi secoli si sono registrate peraltro anche effetti climatici più duraturi, come nel già citato caso del Laki in Islanda del 1783: si registrarono anomalie climatiche così forti e così diverse da Paese a Paese, che si registrarono migliaia di morti e che influenzarono anche il corso degli eventi negli anni della Rivoluzione francese (1789).Nulla però si può ancora dire riguardo all’eruzione in corso, bisognerà attendere i prossimi giorni. E «in ogni caso gli effetti si vedranno dalla stagione successiva», dice Guidi. Vale a dire che un eventuale raffreddamento sarà percepibile da settembre-ottobre. Alcuni esperti temono che ci possa essere un effetto a catena che potrebbe provocare una esplosione ancora più forte del vicino vulcano del Monte Katla, descritto come «enormemente potente» e in grado di provocare conseguenze su un’area più vasta. «Ma non dobbiamo essere allarmisti – sottolinea il professor Panza –; l’eruzione dei vulcani è un fatto normale. Questa volta ce ne accorgiamo perché accade nei pressi di una zona ad alta densità di aeroporti di cui è stata saggiamente ordinata la chiusura. Fosse avvenuto in un’altra area non se ne parlerebbe tanto».
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