martedì 26 luglio 2011
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«Quella di Breivik – dice il vescovo Markus Bernt Eidsvig che dal 2005 regge la diocesi cattolica di Oslo, 23 parrocchie per 75mila fedeli – è certamente una personalità confusa, i cui incubi sono insondabili. Eppure per un giorno ha incarnato il male, il male assoluto». La Cattedrale di Sant’Olav, eretta nel 1868 nell’asciutto neogotico caro ai Paesi nordici, sorge a poca distanza dal luogo dell’autobomba che ha falciato vite umane e terrorizzato la capitale norvegese. Alle sette della sera vi si dice messa in inglese, per i molti asiatici di Oslo e per gli stranieri presenti. E in questa stessa lingua il vescovo si rivolge a noi».Conosceva quell’uomo?«No, non faceva parte della nostra comunità. Credo si sia battezzato molto tardi, tra l’altro».Era qui a Oslo quando è accaduto il fatto?«Ero a Londra».E cosa ha pensato?«Ho pensato all’orrore, l’orrore senza fine. Si rende conto, li ha uccisi, giustiziati uno per uno. Senza contare il danno morale per tutti: i norvegesi sono 5 milioni, tutto sommato una piccola comunità. Ciascuno dei 93 morti era conosciuto da migliaia di persone, aveva relazioni, affetti, amicizia. Saranno decine di migliaia di persona a piangere quei ragazzi».La Norvegia si vanta di essere una società aperta. Lo sarà ancora dopo tutto questo?«Qualcosa forse cambierà. La sicurezza, probabilmente, ci saranno delle limitazioni alla libertà individuale, è fatale». Breivik si autoproclamava cristiano e nemico dell’islam… «Ciò che ha fatto non appartiene a nessun credo».Era un estremista. La xenofobia è un problema serio in Norvegia?«La xenofobia è un problema serio ovunque, anche in Italia».Cosa resterà nella memoria dei norvegesi?«Un segno indelebile, per tutta la vita. E non soltanto per i sopravvissuti, per tutti».Si parlava del male, del male assoluto. Conosce Anne Holt, la scrittrice?«Sì, anche se non ho mai letto i suoi romanzi».La Holt, come Stieg Larsson in Svezia, allude a un male oscuro che intride la società scandinava, come se fosse il contrappasso di una società opulenta e permissiva.«Il buio è dovunque. Ma è alla luce che dobbiamo guardare».Le stesse parole che adopera Ole Christian Kvarme, vescovo della Chiesa riformata, che domenica ha celebrato la messa in ricordo dei ragazzi sterminati sull’isola Utoya e delle vittime dell’autobomba: «Per noi resterà nella memoria come un Venerdì di Passione. Ma l’odio – ci dice dopo la funzione – non deve trionfare sull’amore. Per questo ci abbracciamo l’uno con l’altro. Noi vogliamo continuare a costruire una società basata sulla tolleranza. E continueremo a farlo». Chiediamo anche a lui se ciò che è accaduto porterà a una chiusura: «Non credo, e non lo spero. Spero invece che la Norvegia continui ad essere una società aperta, luminosa. Non saranno le tenebre a predominare, di questo sono sicuro». «Non basta – aggiunge Trond Bakkevig, decano della Domkirke – un delitto, se pure così efferato, a cambiare la natura di una società. Io credo che andremo avanti. Più consapevoli, ma come prima».
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