martedì 13 aprile 2010
Simone Montesso e Massimo Barbiero, i due volontari italiani in Venezuela dell'Associazione Giovanni XXIII di Rimini, di cui non si avevano più notizie dal 6 aprile, sono stati trovati morti. Lo hanno reso noto le autorità di Caracas, precisando che i cadaveri dei due volontari erano in fondo ad un burrone. Secondo una prima ricostruzione si sarebbe trattato di un tragico incidente di montagna.
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Un tragico incidente di montagna. Dopo sette giorni di ricerche, sono stati trovati in fondo a un dirupo i corpi di Massimo Barbiero e Simone Montesso, i due operatori dell’Associazione Giovanni XXIII scomparsi da martedì scorso in Venezuela. È questo l’epilogo drammatico di una vicenda che ha tenuto col fiato sospeso tutta la comunità fondata da don Benzi e le famiglie dei due nostri connazionali.«Sono stati trovati in fondo ad un crepaccio, vicino al tratto iniziale di una funivia, in un’area a circa 2mila metri d’altezza», hanno precisato ieri sera fonti dell’ambasciata italiana nel Paese sudamericano. A dare la notizia del ritrovamento dei corpi è stato il direttore della Protezione civile di Merida, Noel Marquez. «I due portavano pantaloni corti, camicie gialle e rosse e avevano borse a tracolla», ha precisato Marquez.Massimo, 36 anni, originario di Fossò, in provincia di Venezia, era un missionario laico associato alla Giovanni XXIII, mentre Simone, 23 anni, di Bolzano, era partito per la città venezuelana come volontario. Entrambi erano impegnati nel centro di primo intervento a favore dei bambini in difficoltà e da qualche settimana avevano messo a punto un progetto di educazione a favore dei ragazzi di strada nel Barrio, un quartiere "difficile" di Merida.«Il nostro pensiero va alle famiglie e ai tanti parenti ed amici che da loro hanno ricevuto una così nobile testimonianza di amore e di fede – ha sottolineato il responsabile della comunità Giovanni Paolo Ramonda –. In questo momento la nostra comunità trova conforto nella preghiera nella certezza  che questi giovani siano già stati accolti nella casa del Padre accanto al nostro fondatore don Oreste Benzi».Secondo le ricostruzioni, i due si stavano dirigendo verso una casa in un’area nota come "La Montagna", a circa 2.400 metri di altezza, ad una distanza di due ore a piedi dalla città venezuelana. Nei giorni scorsi, attraverso un faticoso lavoro di ricostruzione delle autorità locali, si è cercato di ripercorrere l’itinerario compiuto dai due italiani una volta partiti dalla loro comunità. «È stato decisivo il contributo di alcune testimonianze dirette raccolte da persone che li hanno visti passare» spiegano fonti della Farnesina. Alla fine le ricerche della Protezione civile venezuelana, con cui le autorità diplomatiche italiane si sono tenute in stretto contatto, si sono concentrate sull’area dove i volontari italiani avevano ritenuto di compiere l’escursione. L’ipotesi più probabile è dunque quella dell’incidente di montagna, anche se solo un’autopsia permetterà di chiarire con certezza nei prossimi giorni le circostanze precise della loro morte.Proprio nella mattinata di ieri, alcune fonti dell’ambasciata italiana a Caracas avevano per la prima volta ufficialmente escluso la possibilità di un sequestro, circolata nei giorni scorsi vista la vicinanza del confine con la Colombia, in un’area in cui spesso accadono eventi del genere. Ma col passare dei giorni, in realtà, le speranze di ritrovare in vita Massimo e Simone sono diminuite.«L’ipotesi che fossero stati rapiti – ha spiegato ieri Ruggero Barbiero, uno dei fratelli di Massimo – ci era apparsa subito la migliore rispetto a quella, più tragica, di una disgrazia. Purtroppo non è stato così». Ieri erano partiti alla volta di Merida Claudio Barbiero, uno dei fratelli di Massimo, e due missionari della Giovanni XXIII, a cui si aggiungeranno oggi i genitori di Montesso e lo stesso Ramonda. Profonda la commozione delle comunità d’origine.«Queste due vite donate siano fecondità per la Chiesa e per il mondo intero» ha detto il vescovo di Padova, Antonio Mattiazzo, a nome dell’intera diocesi e del centro missionario diocesano, nell’esprimere «profonda partecipazione al dolore per la tragica scomparsa» e «vicinanza con la preghiera e il ricordo alle famiglie, alle comunità parrocchiali di appartenenza, all’associazione Papa Giovanni XXIII».IL FATTOÈ martedì 6 aprile quando Simone Montesso e Massimo Barbiero escono per una passeggiata. Da Merida, città venezuelana al confine con la Colombia, si dirigono verso le vicine montagne andine, ma non fanno ritorno alla casa di pronta accoglienza "Madre de la Ternura". In serata scatta l’allarme: a mezzanotte c’è l’ultimo contatto telefonico con i due giovani. «Pronto?» risponde Simone. Poi la comunicazione si interrompe. Da allora più nulla. Nei giorni successivi si muovono le autorità locali, la Farnesina attiva tutti i canali diplomatici con l’ambasciata e il consolato italiano in Venezuela. Le famiglie sono messe al corrente della scomparsa e, mentre le ricerche proseguono, l’Associazione Giovanni XXIII rivolge un appello affinché tutti si mobilitino per la sorte dei due volontari. «Nessuna ipotesi, neppure quella di un rapimento – spiega sabato una nota della comunità fondata da don Oreste Benzi – può essere esclusa». Il maltempo rende ancora più difficile la perlustrazione della zona, visto che la nebbia impedisce agli elicotteri di sorvolare le zone più impervie. In Italia, intanto, cresce la preoccupazione delle famiglie. Due missionari laici della Giovanni XXIII e un fratello di Barbiero, Claudio, sono partiti ieri per il Venezuela e saranno seguiti oggi dal responsabile dell’associazione, Giovanni Paolo Ramonda.
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