lunedì 13 luglio 2009
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La liberazione di Eugenio Vagni accolta con ovvia soddisfazione in Italia e nelle Filippine evidenza insieme la difficoltà di analizzare la complessa situazione del meridione filippino e quella del Paese nel suo complesso. Se il sequestro, il 15 gennaio scorso, ha portato insieme il marchio riconoscibile di Abu Sayyaf e quello di una insurrezione islamista troppe volte diventata pretesto per operazioni di banditismo, la prigionia di Vagni è invece stata segnata da una serie di misteri che si possono almeno individuare solo tra le pieghe del conflitto in corso da decenni tra i gruppi che hanno scelto la lotta armata per decidere l’autodeterminazione del Sud dell’arcipelago filippino e un governo, meglio, una presidente alla quale le forze armate hanno dato appoggio ed ubbidienza. Per molti oppositori, e tra questi anche ampi settori della Chiesa filippina, fornendo così una sponda alle tentazioni autoritarie e, da ultimo, al tentativo di riscrivere la Costituzione per garantire al presidente Gloria Macapagal Arroyo una rielezione finora impossibile. Restano e forse resteranno sospese a lungo domande insieme ovvie e necessarie: l’arresto di due delle mogli del comandante Albader Parad (ritenuto da subito capo della banda di rapitori) e di altri fiancheggiatori con rapporti anche di parentela hanno portato merce di scambio sul tavolo delle trattative? Il sito del quotidiano filippino Inquirer parlava ieri apertamente di scambio di prigionieri. Una notizia confermata solo come «voce» dalla vice governatrice di Sulu, Nur Anna Sahidulla.Incertezze e dubbi, forse anche tanti misteri che la stessa lunghezza del sequestro in un’area territorialmente limitata, dove da mesi forze regolari e paramilitari operavano rastrellamenti spesso scontrandosi in modo sanguinoso con i rapitori o gruppi di fiancheggiatori. Alla ricerca di un rapito diventato di fatto ostaggio di giochi locali e nazionali, e persino degli interessi qaedisti veicolati da personaggi misteriosi. Personaggi come il Dottor Abu, coinvolti in tempi diversi nei negoziati – portavoce di tutti e di nessuno – e di elementi internazionali parte del Jamaah Islamiah, network terrorista che dagli attentati di Bali nel 2002 in poi è entrato nella lista nera delle organizzazioni terroristiche e cui membri transfughi da Indonesia e Malaysia sono da tempo accolti tra le comunità musulmane dell’arcipelago di Sulu – di cui Jolo, teatro del rapimento, fa parte – come di Mindanao.Una risposta ci sarà, probabilmente, leggendo tra le righe del Discorso sullo Stato della Nazione che il presidente Arroyo terrà in Tv il 27 luglio. Un evento atteso, ora ancora di più. Nel luglio 2007, il discorso seguì di tre giorni la liberazione di padre Giancarlo Bossi e quella fu l’occasione per darne l’annuncio ufficiale ai filippini e rafforzare attorno al governo e all’esercito il sostegno della popolazione.
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