martedì 30 novembre 2010
Il fondatore del sito al centro della bufera, l'australiano Julian Assange, ha annunciato per l'inizio dell'anno prossimo la divulgazione di documenti riservati su un'importante banca degli Stati Uniti. La fuga di notizie dovrebbe fornire «una comprensione reale di come le banche si comportano a livelle esecutivo, in modo tale da stimolare le inchieste».
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Il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, ha annunciato per l'inizio dell'anno prossimo la divulgazione di nuovi documenti riservati, stavolta su un'importante banca degli Stati Uniti. Parlando al settimanale Forbes, Assange si è detto pronto a rivelare decine di migliaia di documenti che potrebbero "far cadere una banca o due". "Abbiamo una mega-fuoriuscita relativa a una banca. Non è della dimensione del materiale sull'Iraq, ma si tratta di decine o centinaia di migliaia di documenti", ha spiegato l'australiano nell'intervista che risale a inizio novembre. L'australiano ha detto che la fuga di notizie fornirà "una comprensione reale e rappresentativa di come le banche si comportano a livelle esecutivo, in modo tale da stimolare le inchieste e le riforme, presumo". REAZIONI IN USAIl presidente Barack Obama non è contento delle rivelazioni», ha spiegato il suo portavoce, ma ieri, la Casa Bianca ha mantenuto un «eloquente» silenzio sulla questione Wikileaks, lasciando il compito di prendere in esame la questione al capo della diplomazia americana. «Gli Stati Uniti condannano fortemente» ogni rivelazione, ha dichiarato il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, sottolineando che «questa pubblicazione non è un attacco solo agli Stati Uniti» che stanno cercando di far avanzare una robusta agenda in politica estera, ma «all’intera comunità internazionale».Pur dicendosi «dispiaciuta della pubblicazione di informazioni intese come confidenziali», il ministro ed ex first lady non ha voluto confermarne la veridicità – né porgere scuse ad alcun Paese – sottolineando comunque che «candide discussioni tra gli esponenti della diplomazia Usa sono imperative», ma rassicurando che «la politica estera è decisa non attraverso tali messaggi, ma a Washington». L’America, pertanto rimane «fiduciosa» che la sua «partnership» con la comunità internazionale «riuscirà a sopportare questa sfida». Così come aveva del resto dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato subito dopo la messa in rete degli oltre 250mila documenti domenica e ha ribadito ieri l’ambasciatore americano all’Onu, Susan Rice, «i diplomatici Usa fanno quello che fanno tutti i diplomatici del mondo», «rappresentando il Paese e interagendo in modo aperto e trasparente con i rappresentanti dei governi stranieri», e, proprio attraverso tali attività, «collezionano informazioni». È chiaro, però, che la questione ha suscitato un forte imbarazzo, spingendo il governo a correre ai ripari. Dopo aver tacciato la rivelazione quale un atto «sconsiderato e pericoloso» in quanto «mette a rischio i diplomatici Usa, i funzionari d’intelligence e tutti coloro che si rivolgono agli Stati Uniti per avere aiuto nel promuovere democrazia», la Casa Bianca si è rivolta al ministero della Giustizia, che ieri ha pertanto annunciato di aver avviato «un’indagine penale». Secondo il segretario Eric Holder, infatti, sarebbero stati commessi veri e propri «crimini» e le autorità Usa intendono punire chiunque ne sia stato responsabile. Come ha sottolineato il capo della diplomazia americana, «non c’è nulla di lodevole nel mettere a repentaglio la vita di persone innocenti, né niente di coraggioso nel sabotare le pacifiche relazioni tra nazioni». Dall’Onu – che secondo Wikileaks sarebbe stato uno degli obiettivi delle «spie» del dipartimento di Stato Usa – è però giunto un sottile monito. Pur rifiutandosi di «commentare l’autenticità dei documenti», l’organizzazione mondiale ha ricordato di essere, per sua natura, un organismo «trasparente che rende pubblica gran parte delle informazioni riguardo la sua attività» e che «i suoi funzionari si riuniscono regolarmente con i rappresentanti degli Stati membri per informarli della propria attività». Dal Palazzo di Vetro di New York si è così sottolineato che il lavoro dell’Onu deve essere considerato «inviolabile» e che si debbano rispettare «i privilegi e le immunità» contenuti nella Carta delle Nazioni Unite e nella Convenzione del 1946.
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