sabato 1 agosto 2015
In pochi mesi papa Francesco è intervenuto due volte contro la condanna capitale.

La pena di morte fa strage in Asia: i dati
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«Ogni premio o riconoscimento ovviamente è ben accetto, anche se come sapete il Papa non accetta premi...». È con queste parole che Flamina Giovanelli, sottosegretario del pontificio Consiglio della giustizia e della pace, ha commentato la decisione dell’Associazione “Nessuno Tocchi Caino” di conferire il premio “abolizionista dell’anno 2015” a papa Francesco. In effetti è stato lo stesso Pontefice, nel colloquio coi giornalisti durante il volo di ritorno dall’America Latina lo scorso 13 luglio, a confessare: «Io non ho mai accettato un’onorificenza, non mi viene…».    Giovanelli, intervenendo ieri alla presentazione del rapporto annuale dell’associazione promossa dai radicali, ha ricordato come, nel giro di pochi mesi, papa Francesco sia intervenuto due volte con parole forti sulla questione della pena di morte. Lo ha fatto il 20 marzo in una lettera consegnata alla delegazione della Commissione internazionale contro la pena di morte ricevuta in udienza. «Oggigiorno – scriveva il Pontefice – la pena di morte è inammissibile, per quanto grave sia stato il delitto del condannato ». Questa «è un’offesa all’inviolabilità della vita e alla dignità della persona umana che contraddice il disegno di Dio sull’uomo e sulla società e la sua giustizia misericordiosa, e impedisce di conformarsi a qualsiasi finalità giusta delle pene». E «non rende giustizia alle vittime, ma fomenta la vendetta». «D’altro canto, – aggiungeva poi il Papa – la pena dell’ergastolo, come pure quelle che per la loro durata comportano l’impossibilità per il condannato di progettare un futuro in libertà, possono essere considerate pene di morte occulte, poiché con esse non si priva il colpevole della sua libertà, ma si cerca di privarlo della speranza». Sulla questione, il Pontefice era poi intervenuto il 23 ottobre 2013 ricevendo in udienza una delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale. Nell’ambito di un lungo e articolato discorso il Pontefice aveva giudicato «impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone». «Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà – aveva aggiunto – sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo. In Vaticano, da poco tempo, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più, l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte nascosta».  È stato lo stesso Francesco a porre la firma sul “motu proprio” dell’11 luglio 2013, che nel quadro di una riforma della giustizia penale dello Stato della Città del Vaticano (SCV) iniziata durante il pontificato di Benedetto XVI, ha portato all’abolizione formale della pena dell’ergastolo. Pena che era prevista dalla nascita dello SCV, nel 1929, ma non era mai stata comminata.
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